Cultura

QUALI “VITTIME DEL SUD” RICORDARE?

di GIUSEPPE CLEMENTE

Nella mozione del M5S accolta dal CONSIGLIO REGIONALE PUGLIESE per ricordare le “VITTIME DEL SUD DELL’UNIFICAZIONE D’ITALIA”, che ha acceso un vivace dibattito, c’è un equivoco di fondo che andrebbe presto chiarito. Quali sono le “VITTIME” da ricordare? Quelle cadute sotto le armi dei cosiddetti “piemontesi”, o quelle tra le popolazioni delle contrade meridionali uccise dalle bande dei briganti? Tutte sono “Vittime del Sud dell’unificazione d’Italia” e non credo sia giusto operare discriminazioni. Ho sempre avuto un grande rispetto per le Istituzioni e sono convinto che il Consiglio regionale pugliese saprà venir fuori da questa quanto meno imbarazzante situazione, che ha molto di politico e assai poco di storico. Bene farebbe però il Presidente a sentire altri pareri, oltre a quello di PINO APRILE. Nelle università italiane, e ovviamente anche in quelle pugliesi, vi sono cattedratici che hanno passato la loro vita a frugare tra le polverose carte degli archivi per comprendere quel complesso fenomeno storico che va sotto il nome di RISORGIMENTO, che ha portato alla, ormai non più differibile, UNITÀ d’ITALIA. Spero che lo faccia presto, se già non vi ha provveduto. Riscoprirà così una storia dell’Unita d’Italia diversa, un Risorgimento che ha solide radici meridionali, fatto anche da uomini del Sud, figli dell’Illuminismo meridionale, che hanno lottato per affermare i loro ideali di libertà e di giustizia fino alla morte. Una storia iniziata con la Repubblica napoletana e terminata nel settembre del 1860 con il trionfale ingresso di Garibaldi a Napoli, una storia che oppone un deciso no alla giornata della memoria, così come la intendono i rappresentanti del MS5 al Consiglio regionale pugliese.
I patrioti del 1799 trucidati dalle bande sanfediste del cardinale RUFFO o condannati alla pena capitale da processi sommari allestiti dai tribunali borbonici; i Carbonari della rivoluzione del 1820/21 da PAOLO VENUSI a GAETANO RODINÒ, da MICHELE BARBARISI ad AGNELLO IACUZIO, da FERDINANDO de LUCA, a FRANCESCO LAURIA e a tanti altri lasciati morire e marcire nei fetidi bagni penali o condannati al patibolo, come MORELLI e SILVATI; i liberali del 1848, tra i quali VINCENZO CAVALLI, morto nelle prigioni di Montefusco, RAFFAELE CRISPINO, SIGISMONDO CASTROMEDIANO, LUIGI SETTEMBRINI, FILIPPO AGRESTI, SALVATORE FAUCITANO, SILVIO SPAVENTA, MICHELE PIRONTI e CARLO POERIO, la cui pena dell’ergastolo e dei ferri fu commutata in quella dell’esilio perpetuo dal regno, ossia con la deportazione negli Stati Uniti d’America, stanno tutti a dimostrare come una forte istanza di unità nazionale sia partita anche dal Sud borbonico. E le vittime dei briganti, ossia le desolate popolazioni sottoposte a saccheggi, ricatti e a vendette, anche trasversali; le donne stuprate e uccise mentre lavoravano nei campi; i militi della Guardia Nazionale, in genere tutti artigiani, i contadini e i piccoli proprietari dei paesini del Mezzogiorno; i tanti militari caduti nelle imboscate dei briganti o morti per malattia, che non erano come comunemente si dice “piemontesi”, ma provenivano da tutte le regioni del nuovo Stato, anche dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Puglia, cito per tutti ANNIBALE VALENTINI, un napoletano, Capitano della 1^ Compagnia del 2° Reggimento Genio Zappatori, destinato alla costruzione della strada che tuttora collega San Marco in Lamis a San Severo, sono o no pure essi “vittime del Sud dell’unificazione d’Italia”? Se proprio si vuole ricordare la travagliata unità del Paese non sarebbe meglio accomunare tutte, dico proprio tutte, le “VITTIME” di quel cruciale momento della nostra storia in un unico, deferente ricordo? Il brigantaggio postunitario è stato una dannata guerra civile, in cui tante sono state le atrocità commesse dai contendenti, sulle quali si dovrebbe riflettere in modo sereno. “L’accanimento revisionistico”, che “usa la storia come una clava”, non aiuta certo a comprenderla. Quando si racconta la storia le passioni, quelle politiche in specie, dovrebbero restare lontano. Le polemiche opportunamente esasperate, diffuse da movimenti e associazioni pateticamente reazionari e nostalgici, non portano da nessuna parte. Servono solo a trasmettere false verità ai giovani e ad alimentare rancori regionali di cui oggi non si avverte proprio la necessità.

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