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A Natale metti Foggia in tavola: al lavoro 986 aziende di trasformazione

Comparto primario in difficoltà, ma dal settore agroalimentare una speranza di rilancio

FOGGIA – Solo mettendo sulle tavole prodotti locali si potrà dare una boccata d’ossigeno alle aziende pugliesi. Le imminenti festività natalizie possono rappresentare un’importante occasione di ripresa per le attività del settore agroalimentare. In questo momento, sono più di 5mila le imprese impegnate, in tutta la regione, nella lavorazione e trasformazione delle materie prime: 986 hanno sede in Capitanata.

Come riporta Cia Agricoltori Italiani della Puglia, è questo il quadro che emerge dall’ultimo studio condotto dall’Osservatorio economico di Davide Stasi. Negli ultimi mesi, nonostante la pandemia ancora in corso, si è registrato un lieve incremento del loro numero: sono passate da 5.197 (dato riferito al 31 dicembre 2019) alle attuali 5.223. Le attività dell’agroalimentare più numerose si occupano della produzione di pane e pasticceria fresca: sono 2.280. Seguono quelle di produzione di oli e grassi (536); quelle lattiero-casearie e di conservazione del latte (456); ed ancora, quelle di produzione di paste alimentari, di cuscus e di prodotti farinacei simili (351); produzione di vini da uve (317); produzione di fette biscottate e di biscotti; produzione di prodotti di pasticceria conservati (244); altra lavorazione e conservazione di frutta e di ortaggi (178); produzione di oli e grassi vegetali e animali (103). Sono 986 quelle che hanno sede legale in provincia di Foggia, 1.557 nel Barese; 960 in provincia di Lecce; 595 nel Tarantino; 561 nella Bat; 550 in provincia di Brindisi e altre 14 senza indicazioni della provincia.

“Durante queste festività meglio consumare prodotti ed eccellenze pugliesi”, ha dichiarato Raffaele Carrabba, presidente di Cia Agricoltori Italiani della Puglia. “Questo è il momento di compiere scelte che possano sostenere tanto il nostro agroalimentare quanto l’agricoltura. Nella catena di formazione del prezzo al consumo, l’agricoltore è il primo anello, il più debole, e spesso per vendere deve accettare remunerazioni imposte dalle industrie di trasformazione e dalla distribuzione. Gli agricoltori e le piccole medie imprese rappresentano gli attori più fragili della filiera, in quanto privi di potere contrattuale nei confronti dei distributori e quindi particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali”. Queste ultime sono più diffuse nel settore ortofrutticolo per due fattori: la sostanziale diversità strutturale ed economica degli operatori coinvolti e la stagionalità del prodotto che limita la durata delle negoziazioni.

“Una volta superata l’emergenza pandemica – ha aggiunto Carrabba – sarà necessario utilizzare al meglio le risorse e gli investimenti pubblici al fine di fornire concreti strumenti e reale supporto ai produttori, in modo che possano accrescere la loro capacità di competere sui mercati e possano aumentare la redditività delle loro aziende. La digitalizzazione dei processi produttivi e l’innovazione devono rappresentare una svolta per l’ammodernamento dell’intero comparto”.

L’emergenza Covid ha portato alla ribalta l’importanza di produrre e comprare italiano per assicurare al consumatore un prodotto di qualità e per salvaguardare il futuro di aziende che offrono ineguagliabili eccellenze: dall’ortofrutta alla carne, dai prodotti lattiero-caseari ai vini. Sono davvero tante le denominazioni dop e igp del territorio pugliese e vengono prodotte rispettando rigidi disciplinari. Un’importante garanzia di qualità e salubrità. La Puglia vanta ben 299 prodotti agroalimentari tradizionali, in base all’ultima revisione dell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (ovvero in base alla 20esima revisione, pubblicata in Gazzetta ufficiale numero 42 del 20 febbraio scorso).

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