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Al Teatro Verdi MITOLOGIA, UMANITA’ E PRESAGIO IN MUSICA. Maria Callas: vita e morte da “La Traviata”

Nella serata di sabato 26 novembre ha avuto luogo presso il Teatro Comunale “Giuseppe Verdi”, nell’ambito della cinquantatreesima Stagione Concertistica della prestigiosa Associazione AMICI DELLA MUSICA di San Severo, che da decenni è onore e vanto della nostra Città, un raffinato evento danza da parte della nota compagine artistica “BALLETTO DEL SUD”, con le splendide coreografie di Freddy Franzutti, scenografie di Francesco Palma e luci di Piero Calò, avente come tema l’opera verdiana ossessivamente rivissuta nell’immaginario dalla sublime Maria Callas – la Divina, protagonista assoluta delle tante rappresentazioni de “La Traviata” – nella intromissione profonda della sua vita, e del suo destino, in quella di Violetta Valery, la protagonista dell’opera.

Appena dopo le prime battute che preannunciavano la dolce sinfonia del melodramma, irrompevano prepotentemente – ciò che si replicherà più volte nel corso della rappresentazione musicale – le irruenti, distoniche, dissonanti, a volte “disumanizzate” note dell’architettura musicale del compositore avanguardista Yannis Xenakis, coevo della Callas, che, in un’atmosfera incupita, incubosa, di livido surrealismo, davano il via all’intreccio tra la commedia della vita e la tragedia della morte, mai così vicine, ciò che accomunava le due grandi “eroine”: quella dell’opera e quella reale. Questa morirà sola, stritolata da angoscianti ricordi di infausti amori, nella sua casa parigina.

Una intensa, incisiva trasposizione del reale nell’onirico, ma anche dell’onirico nel reale – in una osmosi senza fine ad alto impatto emotivo, figurativo, esistenziale e simbolico – accompagnava sapientemente, con fine arte introspettiva nonché coreografica, tutta la rappresentazione scenica e musicale, in cui un presagio cupo, doloroso e immanente incombeva e conduceva alla fatale fine.

Un simbolismo surreale, sospeso tra cielo e terra, in cui i personaggi – soprattutto l’eterea, quasi diafana protagonista, in uno ai ballerini efficacemente sempre all’unisono – apparivano sospesi in una dimensione irreale, chimerica e spettrale: muovendosi in una lucida “follia” iconografica, sbigottiti, smarriti in un indistinto vuoto cosmico, indefinito ed angoscioso, sembravano implorare ad alta voce “si digito coelum titigeris”! Se toccassi il cielo con un dito, se potessi cambiare l’incombente destino letale! Una poderosa tensione emotiva di un vissuto esistenziale incuneatosi negli astrusi, ineffabili sentieri che si inerpicano tra la “favola” della vita e la catastrofe della morte.

Un pathos che, insinuatosi nei contorti e reconditi percorsi dell’anima, shiftava dai personaggi – nella loro trasfigurazione lirica e altamente drammatica, intrisa di vaneggianti trasposizioni oniriche – dritto verso l’intimo sentire degli spettatori, suscitando intense emozioni: le altitudini eccelse e gli abissi infernali in cui erano precipitate le protagoniste erano così diventate patrimonio comune!

Solo un liberatorio, prolungato applauso finale scioglieva la commovente tensione che la musica, le coreografie e la compenetrazione nei recessi dell’anima dei personaggi avevano destato nella platea.

Francesco Giannubilo

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