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CANOSA – TRA I CAPOLAVORI RITROVATI – I PEZZI CANOSINI DEL PITTORE DI DARIO IN MOSTRA A ROMA

Tra le meraviglie che affollano e caratterizzano la Capitale Artistica ed Archeologica d’Italia, capita molto spesso di ritrovare opere d’arte di orizzonti culturali completamente differenti. E’ sempre stato così, sin dai tempi della Roma imperiale, quando le opere d’arte greche – italiche ed ellenistiche, venivano commerciate come oggetti da collezionismo; celebre il caso del Foro della Pace, realizzato dagli imperatori Flavi (69-96 d.C.) e tramutato in un Museo pubblico

 

della scultura antica, recuperando i pezzi dei più grandi scultori greci, che il precedente imperatore Nerone, aveva tesaurizzato nella Domus Aurea. Ancora più celebre, il caso di Cesare o del principe Augusto, primi eredi del neoclassicismo attico, con quel fresco tocco poetico – importato dalla fusione artistica, partorita dalla cultura Ellenistica – nato con Alessandro il Grande, dalla metà del III secolo a.C. e poi rinverdito dalle Culture italiche della Magna Grecia. Proprio a questo orizzonte unico di comunicazione globale nel Mondo Antico, appartengono alcuni straordinari pezzi ceramici, provenienti da Canosa di Puglia e recuperati dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. I pezzi, in tutto sette, sono meravigliosamente inseriti in un contesto espositivo di grande pregio, collocato negli appartamenti di Papa Clemente VII, di Clemente VIII, di Apollo e della Giustizia, nel bastione centrale di Castel Sant’Angelo. La mostra, s’intitola “ Capolavori dell’Archeologia – Recuperi, Ritrovamenti, Confronti ” ed è visitabile dal 20 maggio al 5 novembre 2013. Questo notevole progetto espositivo, rappresenta la trentaduesima edizione della Mostra Europea del Turismo e delle Tradizioni Culturali, dedicata ai vent’anni di collaborazione tra l’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato con il Centro Europeo per il Turismo.

Particolarmente ben riuscita la fusione tra la modernità delle teche e il pregio artistico delle sale espositive. I pezzi canosini, si distinguevano con quelli di cultura etrusco-corinzia, per la finezza delle raffigurazioni e le rivoluzionarie forme ceramiche (crateri di grandi dimensioni, della tipologia a mascheroni; un loutrophoros nuziale, dalla inedita decorazione sia figurata che a pelle di serpente). Tutti attribuiti al noto Pittore di Dario, questi pezzi rappresentano la sintesi tra la richiesta e l’offerta di temi, variabili e freschezze artistiche, richieste dall’esigente aristocrazia ellenistico-canosina. Pezzi unici, realizzati da un grande maestro greco, trasferitosi a Canosa e, forse, a Taranto, nel cuore di quella che era la più grande officina di opere artistiche vascolari di pregio, della Puglia di IV secolo a.C. I vasi sono tutti datati tra il 340 e il 320 a.C., nell’ambito di quei venti anni in cui operò questo pittore eccelso, capace di rendere il movimento delle numerose figure, quasi simile a una danza rituale, in cui i miti si dispiegano sulle note immaginarie di una dionisiaca sinfonia. Classica la raffigurazione dei miti: Andromeda, Zeus sottoforma di toro che seduce Europa (motivo ispirato dal dipinto di Pausia), Medea che fugge da Corinto su di un carro trainato da draghi, Artemide, Apollo, Atena e Pan che assistono alla partenza di Anfiarao. Motivi mutuati dalla cultura greca, ma rinnovati in funzione dell’aristocrazia canosina, desiderosa di emergere dalla sua matrice culturale squisitamente italica e alla ricerca di quell’elemento prezioso e raro, che il Pittore di Dario sapeva conferire nelle figure e nelle forme, accostando la matrice indigena di svastiche, meandri, onde, alle innovazioni delle baccellature, alla riproduzione delle squame di un serpente. Motivi ispirati da Alessandria d’Egitto, capitale africana del grande regno d’Oriente e culla del più antico sapere culturale sino al 31 a.C., quando venne distrutta da Roma per motivi di guerra. Nei vasi del Pittore di Dario in esposizione, emerge una fusione tra mondi diversi, tutti riflessi nell’aristocrazia della potente ed antica città di Kanysion, sorta da Diomede ed erede di quella grecità italica, che non sembra avere confronti con altre realtà della stessa Magna Grecia. Una esposizione dai toni globalizzanti, forte ed aggressiva nelle raffigurazioni dei miti; attuale, quanto non mai nel riciclo dei temi. Nelle figure del Pittore di Dario, le insicurezze sociali dei ceti più deboli, l’eterna lotta tra il Bene e il Male, le sottomissioni al volere divino, le difficoltà umane, generate da queste lotte cosmiche.

Una vera occasione, quella di Roma, non solo per scoprire capolavori difficilmente visibili e godibili, quanto anche per apprendere la fondamentale azione svolta delle Forze dell’Ordine, per la protezione e la difesa dei beni artistici e archeologici d’Italia. Le opere in esposizione, infatti, sono state al centro, anche recentemente, d’importanti attività di recupero e ritrovamento, grazie alle quali è stato possibile far rientrare nelle loro sedi, reperti archeologici rubati, trafugati da scavatori clandestini o esportati illecitamente dal nostro Paese. A questo punto, sorgono spontanee alcune domande, riassumibili nell’attualità di questo tema che tanto sta affascinando il dibattito culturale di Canosa: le opere del Pittore di Dario (tutte provenienti dall’omonimo ipogeo scoperto nella prima metà dell’Ottocento e subito trafugato in maniera del tutto illegale già per l’epoca, al fine di arricchire la Collezione Reale Borbonica, poi confluita nel Museo Nazionale di Napoli), da un punto di vista strettamente etico, così come tanti altri esempi, dove dovrebbero stare? Se il Codice dei Beni Culturali è chiaro, queste opere ormai decontestualizzate, sono sempre e comunque legate all’etné d’origine che le ha generate, al territorio in cui sono state plasmate. Nelle pareti di quelle anfore c’è l’argilla canosina, cotte in un forno canosino, in cui è stata bruciata legna canosina e questo legame “di sangue” è inscindibile da qualsiasi contesto di attuale esposizione. Mai gli esempi vascolari del Pittore di Dario saranno “napoletani”, così come non sono “tarantini” gli ori della Tomba più sconvolgente del XX secolo, che avrebbe meritato molto di più. In buona sostanza non si può e non si deve scindere un manufatto dal suo luogo d’origine, perché quell’amarezza che si respira quando lo si legge in sede esterna alla propria cultura, non è semplicemente un senso di rivalsa, ma un legame psicologico che lega l’oggetto all’Uomo, così come l’Uomo alla sua terra d’origine. Canosa merita i suoi capolavori, così come Roma merita la consapevolezza di essere stata la capitale del più unificato impero di tutti i tempi, precursore della globalizzazione culturale che si sarebbe verificata solo con l’ingresso degli Stati in Europa, sotto l’egemonia di una moneta unica e di leggi di mercato, molto più aride e sterili, se confrontate con le magistrali opere del passato. Credere e crederci. Questo l’obiettivo di questi tempi a Canosa, non fossilizzandosi su semplici confini, ma partorendo una idea nuova, che Ci rappresenti. Nel frattempo, la mostra a Roma, può essere una spinta notevole.

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