CHIEUTI: “LE FABBRICHE DEI SOGNIE DELLE ILLUSIONI”

Chieuti: una storia tipicamente italiana, una questione che va avanti da venticinque anni. Stiamo parlando della famigerata zona P.I.P., un piano di insediamenti produttivi nato a pochi chilometri dal centro abitato. Un piano che nacque con buoni propositi, ma che a tutt’oggi non ha portato nessun posto di lavoro.
La storia ha inizio nel 1998, quando il Consiglio Comunale di allora il 30 novembre approva con delibera n. 56 “l’affidamento incarico per la redazione P.I.P.”.
Dopo un anno si torna in Consiglio per approvare la delibera n. 54 del 15 novembre 1999 relativo all’adozione P.I.P., relativo alle zone D/1 e D/3. Nell’illustrazione del punto posto all’ordine del giorno si legge che: “considerate che sono pervenute numerose richieste per insediamenti produttivi da parte di operatori economici tendente ad avere la disponibilità di aree a scopo edificatorio produttivo per la realizzazione di capannoni al fine di risolvere il problema occupazionale”, delibera di adottare, come adotta il Piano di Insediamenti Produttivi (P.I.P.) unitamente alla scheda di controllo urbanistico ai sensi degli artt. 19 e 21 della Legge Regionale n. 56/80”. L’atto consiliare passò con sette voti favorevoli e quattro astenuti.
Dopo tutto l’iter burocratico, il 17 gennaio il Consiglio Comunale con delibera n. 1 del 17 gennaio 2000 approvò definitivamente il progetto dello stesso P.I.P..
Nella relazione tecnico – urbanistica si pone l’accento, sull’importanza di questo Piano: “all’uopo recentemente sono pervenute al Comune numerose domande di operatori economici richiedenti con urgenza la disponibilità di aree a scopo edificatorio-produttivo per la realizzazione, anche e soprattutto a mezzo dei finanziamenti previsti ed anche già richiesti o accordati, dei più auspicabili insediamenti produttivo-occupazionali che potranno finalmente arrestare il crescente flusso migratorio dal proprio Comune di nascita soprattutto da parte dei più giovani”.
In un paese piccolo come Chieuti, questa notizia prese subito il volo, anche perché l’amministrazione comunale di allora si dimostrò sensibile alle tematiche che coinvolgevano un po’ tutti i paesi del sud della penisola. I temi occupazionali hanno avuto un peso determinante in quegli anni. I cittadini vedendo poi costruire i capannoni hanno sognato ad occhi aperti un posto di lavoro in loco mai avuto.
Aprì un unico insediamento dove lavoravano alcune persone del posto, ma dopo pochi anni la ditta che produceva mobili chiuse i battenti. Attualmente c’è un insediamento produttivo, grazie a un imprenditore di Serracapriola e un piccolo progetto denominato“Hopeificio” finanziato con i fondi di “Fondazione con il Sud”, riservato ad una filiera produttiva dove lavoreranno persone con disagi.
Gli altri lotti del Piano, vennero acquistati poi da artigiani e cittadini del posto per poter realizzare un sogno, costruire laboratori per sviluppare le loro attività.
Oggi sono proprio questi cittadini che gridano la loro rabbia: “con entusiasmo, dice uno di loro, abbiamo acquistato i lotti, perché credevamo di poter costruire e sviluppare le nostre attività. Dopo tantissimi anni niente si è mosso e non si capisce il perché”.
Attualmente in quella zona, una delle più belle, da dove si poteva guardare il mare, il Gargano e la Maiella, come si può vedere dalle foto, c’è desolazione.
Capannoni fatiscenti, abbandonati, erbacce e degrado. Alcuni hanno fatto l’orticello, altri depositano il proprio materiale.
Davvero un cattivo biglietto da visita per chi arriva a Chieuti.
Ora in conclusione senza voler colpevolizzare nessuno o quanto meno assolvere qualcun altro è bene che si faccia chiarezza sulla questione.
I cittadini che hanno sborsato i soldi, devono avere delle risposte, vogliono sapere perché non hanno potuto realizzare i loro progetti. Devono sapere se potranno ancora sperare di costruire o continuare a coltivare insalata, peperoni e melanzane.
Una pessima consolazione per chi ha sognato ad occhi aperti di avere un futuro migliore per sé e per i propri figli.
Ai posteri l’ardua sentenza.
Giovani Licursi