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COSTITUZIONE, ULTIMO ATTO

di FRANCESCO GIANNUBILO

Dopo l’esiziale excursus sulla genesi della Carta costituzionale e le sue deleterie e debordanti ricadute politiche ed economico-sociali, a completamento dell’infausta trilogia, è d’uopo una disamina, seppur succinta, di alcuni essenziali passaggi in essa contenuti. La Costituzione è formata, da quattro parti. La prima, considerata quasi sacra dagli apologeti, riguarda i “principi fondamentali” che -a ben vedere- proprio tutti fondamentali non sono, la seconda i diritti e doveri dei cittadini, la terza l’ordinamento delle Repubblica, l’ultima parte è composta dalle norme transitorie e finali. Tuttavia, sotto l’influenza delle ideologie socialiste ottocentesche, la Costituzione viene devastata dalla retorica del lavoro e addirittura il primo dei dodici articoli pone il lavoro alla base della Repubblica. Che straordinaria coincidenza con la coeva Costituzione dell’URSS, pur’essa con dodici articoli basilari sulla struttura della società!  L’articolo 1 stabilisce che l’URSS “è uno stato socialista degli operai e contadini”, l’articolo 3 che “tutto il potere dell’URSS appartiene ai lavoratori rappresentati dai Soviet”, l’articolo 12 sancisce -in modo icastico- il principio che “Chi non lavora non mangia”. Persino il titolo della nostra Parte I coincide alla lettera, per una macabra consonanza, con il Capitolo X della costituzione bolscevica: Diritti e doveri (fondamentali) dei cittadini! Nella nostra Carta Costituzionale, poi, tra i principi fondamentali “riluce” l’articolo 12, che stabilisce i colori della bandiera della Repubblica: ma possiamo considerare la bandiera un principio fondamentale senza cadere nel ridicolo? Ma l’articolo 3, l’architrave della nostra Costituzione, è veramente illuminante allorquando al primo comma, di stampo liberale e che accoglie il principio di “ISONOMIA”, il quale sancisce la pari dignità sociale e l’eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, si collega il secondo comma – “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli”, ecc. – che autorizza delle “azioni positive”, vale a dire che legittima costituzionalmente ogni azione discriminatoria. Infatti, se l’Autorità governante ha il potere di parificare legalmente situazioni soggettive differenti o tratta in modo diverso situazioni uguali, non fa altro che discriminare: ciò è pericoloso poiché consente al legislatore di violare l’isonomia e di trattare arbitrariamente chiunque! L’articolo quattro, quello che sancisce il diritto al lavoro, è tipico poi di una Costituzione collettivista, da statuto totalitario! Per quanto ci si possa scandalizzare, la verità è che uno Stato libero e liberale non può riconoscere il diritto al lavoro, poiché se tutti fossero titolari di un diritto perfetto al lavoro, la Repubblica avrebbe anche l’obbligo di garantirlo, assegnando a ciascuno un compito retribuito, ciò che, teoricamente potrebbe accadrebbe solo se lo Stato fosse padrone di tutto, cioè un catastrofico tiranno asservitore. E’ sì un principio fondamentale, ma del comunismo, e sappiamo com’è andata a finire! Da tutto questo, in uno allo spropositato affidamento alla “riserva di legge” -di cui pure si è già detto prima- in tema di libertà individuali, emerge un quadro fosco di quell’impianto istituzionale per le sue tragiche conseguenze sullo sviluppo della vita democratica del Paese. RICHARD STEVENS, a proposito della Costituzione degli Stati Uniti, affermava:”…Essa è tutto ciò che si frappone tra noi e la crudeltà e la follia di cui noi stessi, proprio tutti, siamo capaci”. Non pervenire, dunque, ad un radicale mutamento istituzionale, liberandoci di un decrepito impiastro “paratotalitario”, significa affrontare a breve termine una distruttiva vendetta della storia, non dissimile da quella che ha travolto i regimi di “socialismo reale”, e il tutto si spegnerà, come presagito dall’APPELIUS per il fascismo, nel più totale sfacelo. Torno dunque a quanto profetizzato da ANTONIO FERRO, nel ‘32, per l’ESTADO NOVO di SALAZAR: “…questa nave naufragherà, si ridurrà in frantumi contro uomini aspri, impossibili, contro le scogliere”! Ma sarà troppo tardi per chiederci: “Cosa hanno fatto i politici per noi?” La nave, sulla cui “cima” era FERRO, è ora il nostro disgraziato Paese!

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