DOVE VANNO I NOSTRI RISPARMI (?)

di MATTEO MONTEDORO
Nei primi anni ’80 in provincia di Foggia erano presenti 20 BANCHE con 99 SPORTELLI. Di queste 8 avevano Sede Legale nel nostro territorio (4 Banche popolari, 2 Casse Rurali-BCC, una Banca Spa e un Monte di Pietà) con 44 sportelli. Mentre il numero di sportelli è cresciuto fino al 2008, attualmente, delle 8 suddette, ne resta solo una con 11 sportelli. Le altre banche presenti hanno la Direzione Generale (cioè dove sono prese le decisioni strategiche) in altre province, soprattutto non pugliesi. Due aspetti hanno caratterizzato gli ultimi decenni: A) la concentrazione dell’attività in banche grandi e B) la finanziarizzazione dell’attività bancaria. Vediamoli. A) Va di moda il concetto “GRANDE È BELLO” perché, per una narrazione diffusa, le grandi dimensioni consentono economie di scala e obiettivi di efficienza. I dati empirici, però, contraddicono tali distorsioni cognitive, dimostrando che diverse grandi banche, cresciute con acquisizioni e fusioni e favorite da politici interessati, nascondono inefficienze mascherate da vantaggi dovute a condizioni di oligopolio e profitti a discapito della clientela. Ricerche, dal solido fondamento scientifico, hanno dimostrato, invece, che le piccole dimensioni sono compatibili con efficienza, redditività e patrimonializzazione. Quella congiunta delle Università Bocconi e di Napoli su un campione di 1767 banche europee di diversa grandezza ha rilevato che non solo il fattore dimensionale non è influente, ma che quelle piccole hanno, spesso, una redditività superiore alla media. Uno studio, poi, dell’Università Cattolica di Milano su un campione di banche ed imprese italiane ha evidenziato che le banche piccole, senza particolari criticità in efficienza e redditività, favoriscono l’accesso al credito di milioni di microimprese, mentre calano gli impieghi della banche grandi. Inoltre, quanto ai requisiti patrimoniali i dati di diverse banche medio-piccole superano quelli di alcuni principali gruppi bancari. Continuare a privilegiare le grandi banche, riducendo la concorrenza, significa sacrificare l’interesse del mercato. ADAM SMITH in proposito osservava: “Il maggior numero di banche, che allarma molta gente, aumenta, anziché diminuisce la sicurezza del pubblico. La numerosità delle banche le obbliga a comportarsi con circospetto, …. Questa libera concorrenza obbliga pure tutti i banchieri a essere più liberali nei rapporti con la clientela. In generale, se un ramo commerciale è vantaggioso per il pubblico, lo sarà tanto più quanto più libera e diffusa sarà la concorrenza”. (A. SMITH: La ricchezza delle nazioni – Volume I, Libro II – Capitolo II).
- B) Associata alla concentrazione è la spinta alla finanziarizzazione. Sempre più i risparmi sono canalizzati verso investimenti diretti. Banche e reti finanziarie, senza rischi per se stessi e in veste di consulenti per famiglie ed imprenditori, mobilitano il risparmio attraverso Fondi che investono in valori emessi sul mercato, percependo commissioni sia dai risparmiatori che dalle imprese. Di per se ciò non costituisce un problema, purché i risparmiatori siano adeguatamente informati. Investendo sui mercati finanziari, pur tramite Organismi di Investimento Collettivo, si assume un rischio diretto senza alcun cuscinetto di protezione che, invece, è previsto per tutelare i depositi nelle banche eroganti crediti, obbligate alla relativa copertura patrimoniale. Propagandare solo i potenziali rendimenti sottacendone i rischi per i risparmiatori, non è corretto. Come succede nel caso di investimenti in criptovalute (in primis i bitcoin). Si tratta di asset finanziari, non di monete a rimborso garantito come avviene per le valute nazionali (yen, euro, etc.) coniate da Autorità Monetarie che le iscrivono come passività nel proprio bilancio dichiarandosi debitori di ultima istanza. Né sono paragonabili, come alcuni affermano, all’oro perché, a differenza di quest’ultimo che può essere impiegato per diversi altri scopi industriali oltre che per gioielleria, le criptovalute non sono merci ed il loro utilizzo è fine a se stesso. Chi investe in criptovalute deve confidare che il valore salga o, perlomeno, si mantenga stabile e, soprattutto, che ci sia sempre qualcuno disposto ad acquistarle così da riottenere, in caso di necessità, il proprio capitale precedentemente investito.
