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I FALSI MITI DELLA DIGA DI PIANO DEI LIMITI

Come un’araba fenice, la diga di Piano dei Limiti torna periodicamente alla ribalta ogni volta che si ventila l’ipotesi di un qualsiasi piano finanziario di investimenti per la Capitanata e monopolizza la discussione nascondendo le altre ipotesi di approvvigionamento idrico che la tecnica moderna ci offre. Succedeva tre anni fa con il Patto per la Puglia, succede oggi con il Contratto istituzionale di sviluppo della Capitanata.

Si continua però a tacere sulle molte obiezioni tecniche che negli anni passati il WWF ed altre organizzazioni ambientaliste e della società civile hanno evidenziato, ritenendo tale opera inutile, dannosa e dispendiosa.

A beneficio degli smemorati, le sintetizziamo qui di seguito.

Prima di tutto occorre ricordare che il Fortore è stato designato dal Ministero dell’Ambiente come ZSC (Zona Speciale di Conservazione), con le relative misure di conservazione per gli habitat e le specie fluviali che sarà impossibile conciliare con la realizzazione di una nuova diga.

Inoltre le stime sulla capacità di invaso delle acque di pioggia sono basate su dati pluviometrici ormai non più attuali, a causa dei cambiamenti climatici. Si rischia, insomma, di realizzare un invaso che sarà quasi impossibile riempire con i 40 milioni di mc ipotizzati.

Rilevantissimi sarebbero poi gli effetti negativi della costruzione della seconda diga sul litorale nord del Gargano, la cui costa sabbiosa è in arretramento da decenni, con ovvie conseguenze su tutto il sistema turistico locale. Basti dire che dal 1970 al 2005 l’arretramento della linea di riva a ponente è stato di circa 146 m e a levante di circa 154 m. La principale causa di questo arretramento, secondo il Piano regionale di tutela delle coste, ”è la drastica riduzione di sedimenti trasportati dai fiumi a mare, a seguito della realizzazione dell’invaso di Occhito”, aggiungendosi ”in anni recenti, sul fiume Biferno, la diga Guardialfiera”. È quindi indubbio che la realizzazione della diga si pone in netto contrasto con gli interessi degli operatori turistici del Gargano che vedranno ulteriormente depauperate le loro spiagge.

Non si deve dimenticare inoltre che nella diga di Occhito è tuttora presente, benché al momento “dormiente”, la famigerata alga tossica che inevitabilmente finirebbe nel tempo per interessare anche il nuovo invaso che si vuole costruire a valle.

Al di là dei rilievi tecnici, restano poi le numerose problematiche di carattere politico-amministrativo, in primis la mancata intesa con la regione Molise e con i comuni interessati dall’opera, che perderebbero centinaia di ettari agricoli e vedrebbero ulteriormente compromesso il microclima locale.

A queste obiezioni tecniche nessuno dei sostenitori del progetto ha finora ribattuto con argomentazioni di analogo rango, relegando le risposte al solito mantra della diga di fondamentale importanza per la Capitanata, divenuto ormai un dogma che non necessita di dimostrazione.

Del tutto falso è poi l’assunto che il progetto sia pronto e l’opera sia immediatamente cantierabile. Il progetto del 1992 dovrà quantomeno essere aggiornato con nuovi e costosi studi. I nuovi vincoli territoriali nel frattempo intervenuti (Piano paesaggistico, ZSC, piano di tutela delle acque, ecc.) imporranno di acquisire ex novo tutte le autorizzazioni e le obiezioni qui illustrate saranno certamente sollevate nell’ambito della nuova valutazione d’impatto ambientale a cui l’opera dovrà essere sottoposta.

Insomma, la favola che basta mettere dei soldi per avere la diga e quindi fornire l’agognata acqua agli agricoltori resta appunto una favola, buona solo per chi ci vuol credere. La realtà è che se la diga verrà finanziata, le relative risorse economiche resteranno bloccate per altri lunghi anni, come accaduto in precedenza con il primo stanziamento di 118 milioni di euro, poi perso.

Il WWF ha invece più volte proposto di destinare le risorse economiche ad un intervento di manutenzione dell’invaso di Occhito, vecchio ormai di 50 anni, e a progetti di recupero delle acque reflue a fini irrigui e naturalistici dei maggiori centri della Capitanata. Questi progetti, distribuiti sul territorio e che coniugherebbero egregiamente gli aspetti ambientali e paesaggistici con le esigenze di fabbisogno idrico degli agricoltori, sarebbero molto più economici e di più facile realizzazione rispetto al mega progetto di Piano dei Limiti e avrebbero il sostegno di tutti gli attori in campo.

Perché, si domanda il WWF, le organizzazioni agricole nascondono queste semplici verità ai loro associati? Perché insistere con la difesa strenua di un progetto che non porterà agli agricoltori l’acqua tanto sperata se non, nella migliore delle ipotesi, tra non meno di 15 anni? Come mai le organizzazioni agricole non spingono con altrettanta insistenza sul recupero delle acque reflue che risolverebbe molti più problemi in tempi più brevi?

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