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Il messaggio alla diocesi di San Severo, di S.E. Mons. Giovanni Checchinato per la Quaresima 2022.

Un tempo che viene offerto dalla tradizione millenaria della Chiesa Universale come possibilità di conversione, di cambiamento, modi di agire e chiedere il dono della pace.

«Care sorelle e cari fratelli, chiediamo al Signore il dono della pace!

Scrivo queste parole mentre affianco a casa nostra è di nuovo scoppiato un conflitto che rischia di espandersi a livello più ampio; dobbiamo chiedere al Signore di aiutarci a trasformare il nostro cuore e quello di ogni essere umano in un luogo di pace e di riconciliazione. Non può dire di amare Dio chi ama la guerra! Vi invito ad aderire alla richiesta di papa Francesco di dare un senso al digiuno che caratterizza la giornata del Mercoledì delle Ceneri e alla preghiera che sostiene l’inizio della Quaresima, offrendoli al Signore come richiesta di pace. Come ci diceva il Papa nel corso dell’udienza generale di mercoledì scorso: l’appello è rivolto “a tutti, credenti e non credenti” (…) perché “Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno”.

Iniziamo questo tempo liturgico con la caratterizzazione del cammino “sinodale” ed è proprio la Quaresima che ritmerà i nostri passi con gli appuntamenti settimanali in parrocchia e in Diocesi a partire dal 3 marzo pv. La Quaresima non è solamente il “tempo” in cui vivremo questa prima porzione del cammino sinodale, ma rappresenta anche lo “stile” che desideriamo assumere nella nostra esperienza di credenti, e vorrebbe anche diventare almeno uno degli obiettivi da raggiungere nella nostra vita ecclesiale e personale. Provo a declinare con voi tre dimensioni quaresimali che diventano sfide con cui verificare e rilanciare la nostra vita. La prima è la Quaresima come “cammino”.

Nessuno di noi è così ingenuo da pensare che per fare Quaresima basta andare a farsi mettere un po’ di cenere sul capo. La stessa orazione liturgica ci ricorda che il rito delle Ceneri è solo l’inizio: “concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male”. L’obiettivo è la conversione, i passi da compiere sono quelli della lotta contro il male, e le ceneri sono il segno esterno e iniziale di qualcosa che si attua dentro il nostro cuore. C’è dunque un cammino da compiere, un percorso che ci porti dalla nostra situazione attuale a quella di cristiani almeno un po’ più sintonizzati col Vangelo di Gesù. Per fare un cammino abbiamo bisogno di sapere dove siamo, qual è la nostra realtà personale e comunitaria e sapere dove vogliamo arrivare. Penso che la cifra più significativa del punto di arrivo sia rappresentata dall’ esperienza ecclesiale degli Atti degli Apostoli: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.” (Atti 2,42) Ma per arrivare a quell’obiettivo abbiamo bisogno di metterci in cammino. Non si mette in cammino chi pensa di essere arrivato, chi non accetta di mettersi in discussione e di mettersi in rete con gli altri per condividere le prospettive differenti che la nostra umanità ci consegna come realtà preziose. La dimensione del cammino si lega inevitabilmente a quella della strada; ed è interessante che, proprio negli Atti degli Apostoli, i cristiani vengano chiamati “quelli della via” (cfr Atti 9,2; 16,17; 18,25-26; 19,9. 23; 22,4; 24,14. 22). Accettare di fare un cammino significa accogliere la bellezza del camminare insieme, ma anche accettare le dimensioni problematiche del cammino fatto insieme. Chi corre troppo, chi resta indietro… chi si lamenta perché non vede la meta e chi sta già programmando la tappa successiva… c’è chi ha sete e chi ha fame e c’è la pioggia che rallenta o il sole che picchia sulla testa. Mettetele tutte le varianti, ci stanno bene tutte… E il nostro cammino come chiesa non è differente da questo. La cosa importante sarà guardare all’obbiettivo, alla meta accettando la logica del “meglio insieme”: meglio poco, ma insieme che tanto e da soli. Questa prima dimensione della quaresima ci suggerisce la dimensione comunitaria della vita e della fede. Scrive papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima: “La Quaresima ci ricorda ogni anno che il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno. Chiediamo dunque a Dio la paziente costanza dell’agricoltore (cfr Gc 5,7) per non desistere nel fare il bene, un passo alla volta.”

La seconda dimensione è andare alla ricerca dell’essenziale. La fretta con cui conduciamo le nostre giornate, il chiasso da cui sono affollate, impediscono al nostro sguardo di andare oltre la superficie, e non ci accorgiamo più di cosa ospiti il nostro cuore. Tutte le esperienze che facciamo hanno una risonanza immediata che può essere più o meno profonda, ma tutte lasciano un sedimento nel nostro cuore che va riconosciuto, valutato, e in ultima analisi integrato in qualche maniera nella nostra vita interiore. Quando non si compie questa operazione tutto quanto accade prende posto nel nostro cuore e si accatasta sopra tante altre esperienze di cui non riusciamo più a scorgere i confini, le sagome… E’ proprio vero che quanto non abbiamo integrato dentro di noi, prima o poi ci disintegra! E ci capita così di sentire disagio e malessere che imputiamo agli altri, che sembrano diventare l’unica causa delle nostre fatiche, e ci troviamo a parlar male di chi ci sta accanto, delle strutture in cui siamo inseriti, del lavoro, della politica, della chiesa… e chi più ne ha più ne metta… E’ un fenomeno interessante che capita sempre più frequentemente nella nostra storia: quanto più facciamo fatica a metterci in gioco, a scrutare il nostro cuore, a prendere del tempo per fare silenzio e fare contatto con le realtà belle e problematiche che ci abitano, tanto più pensiamo che il male sia sempre e solo fuori di noi, che gli unici responsabili siano gli altri. La Quaresima ci insegna ad andare all’essenziale, a fare verità dentro di noi: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.” (Lc 6, 41-42) Il percorso sinodale vuol essere il cammino che ci prepara a vivere seconda la logica della comunità, a praticare questa espressione piena di sapienza: “unità nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità in tutte”.

La terza dimensione è legata alla verità, a dire la verità, a fare la verità. Su questo tema come cristiani dovremmo essere particolarmente esigenti ed intransigenti: per noi Dio è somma Verità e Gesù è “Parola fatta carne” di una Verità che si è incarnata totalmente in lui, nella sua parola e nella sua vita. E invece il nostro tempo ha assunto la moda di giocare con le parole, di distorcere le parole a proprio uso e consumo, così come di manovrare la verità per il proprio tornaconto. E tutti siamo un po’ vittime di questa mentalità, senza eccezioni. La parola, che è dono di Dio per garantire la comunicazione con gli altri, può diventare -ed è diventato- lo strumento di cui mi servo per confondere gli altri, per veicolare falsità, per offendere e uccidere l’altro. Ha detto papa Francesco nell’Angelus del 27 febbraio 2022: “Le parole che usiamo dicono la persona che siamo. A volte, però, prestiamo poca attenzione alle nostre parole e le usiamo in modo superficiale. Ma le parole hanno un peso: ci permettono di esprimere pensieri e sentimenti, di dare voce alle paure che abbiamo e ai progetti che intendiamo realizzare, di benedire Dio e gli altri. Purtroppo, però, con la lingua possiamo anche alimentare pregiudizi, alzare barriere, aggredire e perfino distruggere; con la lingua possiamo distruggere i fratelli: il pettegolezzo ferisce e la calunnia può essere più tagliente di un coltello! Al giorno d’oggi, poi, specialmente nel mondo digitale, le parole corrono veloci; ma troppe veicolano rabbia e aggressività, alimentano notizie false e approfittano delle paure collettive per propagare idee distorte. Un diplomatico, che fu Segretario Generale delle Nazioni Unite e vinse il Nobel per la Pace, disse che «abusare della parola equivale a disprezzare l’essere umano» (D. Hammarskjöld, Tracce di cammino, Magnano BI 1992, 131). Che bello sarebbe se iniziassimo a praticare un linguaggio non ostile, non solo nella modalità della comunicazione, ma anche nella scelta delle parole! E che bello sarebbe se questo stile fosse quello di una chiesa sinodale che si sperimenta nell’accoglienza e non nel giudizio pieno di condanna verso gli altri! Potrebbe nascere già da questo stile un invito alla pace, una esperienza condivisa di pace, un frammento di pace che contrasta con i venti di guerra che ora infuriano sull’Europa e non solo.

Che il Signore benedica i nostri buoni propositi! E che il cammino quaresimale, non meno che il cammino sinodale possa arricchirsi di desiderio di comunione, di cose essenziali, di verità.

Buona Quaresima 2022!»

Direttore Ufficio comunicazioni sociali-Addetto Stampa

dott. Beniamino PASCALE

 

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