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Il mondo di Michele Pazienza tra tatuaggi e futuro: “Che voglia di… giocare!”

“Io prendo una cedrata. Per te?”. Caffè. Michele accenna una risatina beffarda. Poi spiega il perché. “Ho conosciuto mia moglie nel bar dove andavo sempre a fare colazione, ai tempi di Udine. Che io sia timido, non c’è dubbio. Lei però mi ha fatto prendere 70 mila caffè…”. Un affare. “Ho avuto il primo figlio a 23 anni”. Poi il secondo. Il Michele papà di pazienza ne porta ma il segreto è un altro. “Basta metterci il cuore”. Sempre. In ogni cosa che si fa. La miscela diventa perfetta se ci aggiungiamo un pizzico di “schiettezza, onesta”. Patti chiari e valori prima di tutto il resto. Punto numero uno: molto meglio “arrivare allo scontro piuttosto che pugnalarsi alle spalle”. In secundis “sono convinto che ognuno debba fare quello per cui è portato. Altrimenti sono danni” ci svela in esclusiva. Tipo? “Qualche anno fa decisi di buttarmi sulla ristorazione e aprire un locale…”. Ecco, no. Da evitare. “Mia mamma lavora in una pizzeria con mio zio e mia zia. Ma francamente non mi ha mai attratto quel tipo di lavoro”. Nel suo cervello neuroni e una palla. “Ce l’ho tatuata anche sulla gamba destra”. Giusto per fare chiarezza. “Le corro dietro da una vita. Per me è esistito solo il calcio”. Una malattia di famiglia. “Papà e lo zio – ex giocatore e mio primo allenatore! mi ha dato basi e mentalità giuste – hanno una scuola calcio a San Severo. Io sono cresciuto lì! Poi andavo a veder il Foggia allo stadio, ho fatto anche il raccattapalle quando sono entrato nelle giovanili del club. Ma ti dirò di più, negli ultimi anni il Foggia ha continuato a pescare da quel bacino lì”. Fonte della felicità dove molti sogni sono divenuti realtà.

“Io prendo una cedrata. Per te?”. Caffè. Michele accenna una risatina beffarda. Poi spiega il perché. “Ho conosciuto mia moglie nel bar dove andavo sempre a fare colazione, ai tempi di Udine. Che io sia timido, non c’è dubbio. Lei però mi ha fatto prendere 70 mila caffè…”. Un affare. “Ho avuto il primo figlio a 23 anni”. Poi il secondo. Il Michele papà di pazienza ne porta ma il segreto è un altro. “Basta metterci il cuore”. Sempre. In ogni cosa che si fa. La miscela diventa perfetta se ci aggiungiamo un pizzico di “schiettezza, onesta”. Patti chiari e valori prima di tutto il resto. Punto numero uno: molto meglio “arrivare allo scontro piuttosto che pugnalarsi alle spalle”. In secundis “sono convinto che ognuno debba fare quello per cui è portato. Altrimenti sono danni” ci svela in esclusiva. Tipo? “Qualche anno fa decisi di buttarmi sulla ristorazione e aprire un locale…”. Ecco, no. Da evitare. “Mia mamma lavora in una pizzeria con mio zio e mia zia. Ma francamente non mi ha mai attratto quel tipo di lavoro”. Nel suo cervello neuroni e una palla. “Ce l’ho tatuata anche sulla gamba destra”. Giusto per fare chiarezza. “Le corro dietro da una vita. Per me è esistito solo il calcio”. Una malattia di famiglia. “Papà e lo zio – ex giocatore e mio primo allenatore! mi ha dato basi e mentalità giuste – hanno una scuola calcio a San Severo. Io sono cresciuto lì! Poi andavo a veder il Foggia allo stadio, ho fatto anche il raccattapalle quando sono entrato nelle giovanili del club. Ma ti dirò di più, negli ultimi anni il Foggia ha continuato a pescare da quel bacino lì”. Fonte della felicità dove molti sogni sono divenuti realtà.

Nemmeno il tempo di scrivergli un messaggino che già capisci il tipo. Dallo stato di WhatsApp. “Un’altra domanda?”. Diretto, senza troppi giri di parole. Lui preferisce di gran lunga gli oracoli dei biscotti della fortuna: “Con un po’ di pazienza tutto si metterà a posto”. Compreso il ginocchio appena operato. “Ho fatto una semplice pulizia: voglio ripartire senza alcun problema fisico”. A gennaio la rescissione con il Vicenza. “Le cose non sono andate come mi sarei aspettato”. Verso marzo la chiusura della breve esperienza con la Reggiana, in Lega Pro. “Mi sono buttato senza pensarci troppo, è andata male. Alla mia età servono gli stimoli giusti per rendere al meglio”. Michele Pazienza, 34 il 5 agosto. Svincolato. Dentro un fuoco che arde: “Ho una voglia matta di tornare a giocare. L’importante è che ci sia un progetto serio”. E tra Napoli e Juventus, il centrocampista ne sa qualcosa. Così nei sei mesi in bianconero. “Ho lavorato con campioni veri. Buffon, Del Piero, Pirlo… mi hanno lasciato tanto. Ti fanno capire che non puoi permetterti di mollare un centimetro, mai. Nonostante tu abbia già raggiunto traguardi importanti. La loro forza sta nella testa”. A Napoli che coppia con Gargano. “Con lui al mio fianco ho reso tantissimo, come non mai nel resto della carriera. Ci compensavamo. A livello di squadra siamo andati oltre le aspettative: fino in Champions! E’ la piazza a cui sono più legato”. In carriera anche momenti difficili, come l’ultimo anno al Bologna. “Da fuori rosa. Mi allenavo con la Primavera di mister Colucci”. Scaramantico non lo è. Anche se un pensierino lo ha fatto. “Mi sono rotto il crociato a Firenze. Avevo il numero 17… su sfondo viola! Tendenzialmente non sarei scaramantico però se poi succedono questi episodi qui…”. Numero fortunato: il 5. “La mia data di nascita”. In campo però “sempre il 4” presente anche nella sua gmail. Per una vita da mediano di sostanza, qualità e… tatuaggi. “Sono pieno zeppo!”. Tutta la vita di Michele dipinta sul suo corpo. “Sul braccio destro porto il volto dei miei figli. Gli occhi di mia moglie. Su quello sinistro un maori. Dietro la schiena un veliero con la scritta ‘portami solo dove posso essere me stesso’ in inglese”. Il più curioso? “Una preghiera scritta da mia figlia, proprio con la sua calligrafia! Quando l’ho letta non ci ho pensato due volte: l’ho portata direttamente dal mio tatuatore di fiducia, a Bologna. E me la sono fatta scrivere”. Poi ancora, un angelo sulla gamba. Le iniziali del suo nome: M.P. E un pallone. Sempre lo stesso, quello che rincorre da una vita per amore. Anche senza bere 70 mila caffè.

Michele Pazienza in pillole.

Il salto. “Quell’anno ho vinto il campionato C2 con il Foggia e poi sono andato direttamente all’Udinese, in Serie A. Come? Grazie a Carnevale: un giorno è venuto a vedermi giocare persino a Gela. Pensavo fosse matto”. N.B. “Quell’anno siamo andati in Champions con l’Udinese”.

Gli amici nel calcio. “Il legame con Elio Di Toro è speciale. Ci siamo conosciuti al Foggia: lui un veterano, io giovanissimo alla prima esperienza. Abitavamo insieme, avevamo lo stesso ruolo. In competizione? Sì ma solo in campo! Ci menavamo ad ogni allenamento! Fuori invece eravamo sempre insieme, si è creato un rapporto vero, di amicizia, che dura tutt’oggi. Con Rinaudo (ex Napoli) più o meno uguale, altro mio grande amico”.

L’aspirazione. “Quando deciderò di smettere (tra minimo due/tre anni spero!) mi piacerebbe fare l’allenatore. Già adesso quando vedo le partite, le osservo in modo analitico”.

Gli allenatori. “Spalletti mi ha trattato come un figlio. Io ero un ragazzino di 20 anni alla sua prima esperienza lontano da casa, in A. Mi ha saputo dare schiaffi e carezze, sempre nel momento giusto”. “Conte era schietto, determinato. Vero. A tratti insopportabile ma ti accorgi solo dopo quanto ti lascia dal punto di vista agonistico, umano e tattico. Che facesse saltare in aria qualcosa all’interno dello spogliatoio era all’ordine del giorno. E’ uno che vive molto la partita, diciamo così”. “Mazzarri era maniacale nel modo in cui preparava le partite. Curava tutto, noi scendevamo in campo e sapevamo già che fare. Lui ce lo diceva anche, il suo obiettivo era quello di farci pensare il meno possibile. Così potevamo agire più velocemente”.

Hamsik o Marchisio? “Qualitativamente siamo lì. Claudio aveva qualcosa in più a livello mentale, una maggiore autostima. Che nasce dalle vittorie”.

Dino Fava. “Un ragazzo eccezionale. Lui viveva dentro l’area di rigore: stava fermo lì e la buttava dentro”.

Di Natale. “Inizialmente era molto timido. Poi ci siamo rincontrati 10 anni dopo e l’ho ritrovato uomo”.

Cavani. “Il classico grande attaccante: egoista. Pensava solo a segnare, segnare, segnare. Sembrava avesse il paraocchi.

Lavezzi. “Più uomo squadra di Cavani, anche fuori dal campo. Un ragazzo sincero: se deve dire le cose come stanno non si tira di certo indietro. Io e lui ci sentiamo ancora, ci scriviamo qualche messaggino. Ci prendiamo in giro”.

Vidal. “Un animale. Come ragazzo, simpaticissimo. Come giocatore davvero fortissimo, completo. Faceva di tutto, fase difensiva e offensiva. E sempre allo stesso ritmo e modo. Devastante”.

Le magliette scambiate. “Quando ero giovane era una malattia scambiarsi le magliette con i propri idoli. Io le chiedevo solo a chi aveva le mie stesse caratteristiche. A casa conservo gelosamente quella di Gattuso, oppure quella di Emerson della Roma. Immaginati l’emozione, solo nel chiederle. Arrivavo dalla C2 e certi campioni li avevo visti solo in Tv prima di allora. Se l’ho chiesta a Gerrard in quel (vedi foto) Liverpool-Napoli? No! L’ho presa di Poulsen”.

fonte gianlucadimarzio.com

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