Sport

IL PROFESSIONISMO VA GESTITO DA DILETTANTI? Riflessioni di cultura sportiva

di VANNI PELUSO CASSESE

Ricordo quanto grande fosse il mio impegno nel praticare l’attività sportiva, quando ragazzo evitavo di trascurare anche un solo allenamento di quelli previsti dal programma della Società per la quale gareggiavo. Quanti rimproveri ed anche qualche batosta presi dai genitori pur di non assentarmi. Due soli allenamenti settimanali, non di più. Ma in seguito le cose sono molto cambiate. I due allenamenti sono diventati tre e poi quattro, cinque. E sono sopraggiunte anche le doppie sedute giornaliere. Oggi perfino nei campionati minori, si fa per dire, l’impegno da dedicare alla preparazione tecnico-tattico-atletica ha assunto proporzioni rimarchevoli. Un atleta, per partecipare ai campionati, ancorché ritenuti di livello dilettantistico, di serie C o anche di serie D di Volley o di Basket deve preventivare di allenarsi almeno per 5/6 sedute settimanali. Nel Calcio anche di più, attesa la condizione ufficiale di semiprofessionismo di queste categorie. E non dimentichiamo che anche la Santa Domenica si veste da giorno feriale e quindi lavorativo, infatti, è questa la giornata dedicata alla partita. Un tale robusto impegno richiede la disponibilità a tempo pieno dell’atleta. Ma esige, di conseguenza, un’organizzazione capillare scandita dal dover pianificare, gestire, amministrare un progetto, dirigere responsabilmente uomini e strutture, governare finanze, rapporti e logistica. Nelle Società Sportive d’oggi giorno molto spesso c’è la tendenza a voler far coesistere lo spirito, e quindi, quelli che sono i limitati bisogni di un’attività del tutto dilettantistica, congrua, appunto, all’adempimento dei due obsoleti allenamenti settimanali, con le necessità rivenienti, invece, dal dover fronteggiare una programmazione di dimensioni ben più impegnative. Nel nostro tempo un’Associazione Sportiva di media grandezza gestisce un numero di affiliati intorno alle 200/250 unità tra atleti senior, junior e mini. Una dozzina e più tra istruttori, preparatori, allenatori e loro assistant. Inoltre, include un adeguato staff di figure professionali: medici, fisioterapisti, massaggiatori, consulente legale e contabile, esperto della comunicazione, oltre agli addetti all’idoneo funzionamento di segreteria, strutture e attrezzature diverse. In più deve far conto su competenze, tra quelle emergenti e specializzate che tendono a vicariare quelle più tradizionali di direttore sportivo, team manager, etc., che risultino consone ai propri programmi ed esigenze. Mi riferisco al Performance Director, al Project Manager, al Public Relations man, al Responsabile Marketing e così via. Tutti uffici con mansioni assolutamente fondamentali perché l’attività svolta dalla Società Sportiva non si riveli sterile e caratterizzata da evidente transitorietà. La logica non formativa, ma esclusivamente prestativa e, quindi, del volontariato tout court, che spesso connota taluni ruoli esecutivi, è un elevato fattore di rischio per lo sviluppo delle Società Sportive. Le competenze nei fondamentali ruoli operativi sono i necessari presupposti, imprescindibili per garantire lo sviluppo di un club che non proceda a tentoni e in maniera estemporanea, ma che sappia elaborare e perseguire gli obiettivi di un mirato progetto. E quali gli obiettivi di una Società Sportiva? Essi vanno ricercati nell’assetto di un’organizzazione operativa efficace e protesa in avanti. Nella previsione e gestione di un bilancio economico-finanziario oculato e lungimirante. Nella pianificazione di una sagace attività giovanile. Infine, e solo infine, nel conseguimento dei successi legati alle vittorie in campo. Poiché queste non sono altro che la naturale conseguenza della realizzazione degli obiettivi precedenti e giammai di fatui ed arroganti estemporanei tentativi.

 

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