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Il regista Giuseppe Barile alle Isole Tremiti: un documentario sulle plastiche in mare.

Il documentarista e reporter Giuseppe Barile, originario di Chieuti, torna nel Sud Italia per un documentario sul dramma dell’inquinamento da microplastiche nel mare Mediterraneo.
A tre anni dal successo del film documentario Bukura – La corsa per la Gloria sulla carrese di Chieuti e selezionato per un prestigioso festival del cinema in Francia, Giuseppe Barile torna nelle tue terre natie per occuparsi di un tema attuale quanto urgente: l’inquinamento marino. Nello scorso aprile infatti, insieme alla casa di produzioni cinematografiche NIRA studios, il reporter è approdato presso l’arcipelago delle Isole Tremiti per realizzare un documentario sulla preoccupante presenza di microplastiche riscontrata in una delle riserve marine più belle e importanti d’Italia. Un compito molto arduo ed in linea con i dettami della cop26.
Da una ricerca del 2018 effettuata in collaborazione tra il CNR – IAS di Genova, Politecnico delle Marche e Greenpeace Italia, è emersa una quantità considerevole di microplastiche nel bacino del mare Mediterraneo. In particolare nelle zone di Portici (Napoli) e delle Isole Tremiti (Foggia). Tale quantitativo sarebbe addirittura comparabile a quello presente nei vortici oceanici del Pacifico del Nord. Si è calcolato che nell’unico arcipelago del mare Adriatico, si riscontrino valori di microplastiche pari a 2,2 frammenti per metro cubo di acqua.
La produzione della plastica ha avuto un considerevole aumento nell’ultimo mezzo secolo, basti pensare che ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani. A fronte dei risultati di tali studi, il comune dell’arcipelago delle Isole Tremiti, in collaborazione con l’Ente Nazionale Parco del Gargano, si è fatto promotore di una campagna plastic free, bandendo dal 2018 l’utilizzo della plastica monouso dalle Isole e divenendo pertanto un punto di riferimento per la lotta all’inquinamento in ambiente isolano
Ho incontrato Giuseppe Barile, di rientro da un reportage in Medio Oriente, su questo tema. Una lunga chiacchierata per sensibilizzare tutti e per capire quanto è importante rispettare e salvaguardare l’ambiente.

Ciao Giuseppe e grazie per la tua disponibilità. So che sei tornato da un viaggio in Medio Oriente, nello specifico dal confine siriano-giordano…

Ciao! È un piacere! Si, a metà settembre sono stato in Giordania e sul confine con la Siria per un reportage sui campi profughi. Un’esperienza molto forte, spero di potervi mostrare quanto prima il materiale!

Anche noi non vediamo l’ora! Parlaci un po’ di come è nata l’idea del documentario sulle microplastiche.

Tutto è nato da una telefonata con la mia collega fotografa Giulia Cimarosti, ligure, che mi ha parlato della ricerca effettuata da CNR, Università delle Marche e Greenpeace. Il fatto che a due passi dal luogo in cui sono nato fosse stata riscontrata una quantità di microplastica così alta mi ha inquietato e incuriosito allo stesso tempo.

Ci spieghi cosa sono le microplastiche in maniera semplice?

Le microplastiche sono frammenti di plastica grandi massimo 5mm. Possono essere di due tipi: primarie e secondarie. Primarie si dicono le microplastiche presenti nei prodotti cosmetici come scrubs o dentifrici particellati. Per secondarie invece si intendono le microplastiche derivanti dalla frammentazione di plastiche di dimensioni maggiori, esposte ad agenti atmosferici. Per intenderci: se gettiamo un bicchiere di plastica in acqua o in un bosco, questo si frantumerà per effetto degli agenti atmosferici. Ecco formarsi le microplastiche.

Perché sono così pericolose le microplastiche?

Si tratta di un vero e proprio dramma per l’umanità poiché queste sono, spesso, invisibili ad occhio nudo. Le microplastiche sono praticamente ovunque: nell’acqua, nei cibi, nell’aria stessa che respiriamo e una recente ricerca ha evidenziato come tracce di plastica siano state riscontrate in un feto. Molti pesci e organismi marini si nutrono di microplastica che scambiano per cibo. Possiamo tranquillamente affermare che la plastica sia entrata a tutti gli effetti nella catena alimentare.

Vuoi dire che noi ingeriamo plastica e non lo sappiamo?

Esattamente. Uno studio effettuato dalla Newcastle University in Australia, commissionato dal WWF, ha dimostrato che mediamente l’uomo ingerisce una quantità di plastica a settimana equivalente ad una carta di credito. È inquietante sapere che non conosciamo ancora gli effetti a lungo termine che le plastiche avranno sul nostro organismo.

Come mai una quantità così elevata presso l’arcipelago delle Isole Tremiti?

Innanzitutto va fatta una premessa doverosa: le microplastiche riscontrate presso la riserva marina delle Isole Tremiti non sono il risultato dell’attività dei residenti. Anzi, dal 2018 le Tremiti sono diventate le prime isole Plastic Free d’Europa. Il problema è che le Isole Tremiti sono al centro di alcune correnti che trasportano il marine litter. Si tratta delle uniche isole presenti nel mare Adriatico e, insieme al promontorio del Gargano, rappresentano una sorta di barriera naturale in mezzo al mare.

Quindi le plastiche presenti presso le Isole Tremiti non sono prodotte dai locali?

Assolutamente no. Molte di esse provengono da molto lontano, con estrema probabilità raggiungono il mare Adriatico attraverso il fiume Po.

Da dove derivano queste plastiche?

Potrei rispondere: dalla nostra frenesia, dalla velocità con la quale viviamo la nostra vita. Usiamo e gettiamo. Basti pensare che circa il 40% delle plastiche prodotte nel mondo è destinato a imballaggi alimentari o a oggetti “usa e getta”; materiali progettati per un utilizzo nelle nostre mani di pochi minuti o secondi e tuttavia capaci di resistere nell’ambiente per secoli. Calvino aveva anticipato – per sommi capi – questa “bruttura” dell’Umanità nel suo saggio Le città invisibili, quando parlava della città di Leonia

Esiste una soluzione a questo problema?

La soluzione? Meglio parlare di più soluzioni: sono necessarie una serie di azioni tempestive, congiunte e sinergiche tra governi, grandi aziende e singoli cittadini. Prima di tutto bisognerebbe diminuire il quantitativo di plastica usa e getta acquistata come stoviglie di plastica, packaging alimentare, verdure in busta e prediligere materiali che possiamo riutilizzare nel tempo. Pensate un po’ alle scatole di latta dei biscotti che oggi le nostre nonne utilizzano come contenitori per il cucito… E poi sicuramente prediligere l’acquisto di verdure sfuse a quelle imballate.

…e il riciclo? La raccolta differenziata?

Assolutamente si, è fondamentale per poter riutilizzare i materiali. Ma rischia di non bastare poiché il solo riciclo non è una via sostenibile, poiché non tutti i materiali possono essere riciclati. Bisogna ridurre su grande scala la produzione e il consumo di plastiche non necessarie. Questa è l’unica via.
Prima hai citato le grandi aziende e i governi…
Certo, loro hanno le responsabilità maggiori. Le possibili soluzioni sono tante e vanno dalla limitazione della produzione della plastica, agli aiuti e incentivi per le aziende che utilizzano materiali più sostenibili.

Da dove nasce la passione per l’ecologia?

Da un fallimento. Avevo poco più di vent’anni e la spiaggia libera del mio paese, lontano dagli stabilimenti balneari, era un completo disastro: vi erano chilometri e chilometri di rifiuti accumulati a causa delle mareggiate. Con una associazione formata con alcuni amici organizzammo una giornata di volontariato per la raccolta – differenziata – dei rifiuti. Al modulo di partecipazione contammo circa 30 partecipanti, tantissimi per un paese di poco più di mille abitanti. Il mattino dell’iniziativa, in Agosto, a raccogliere rifiuti c’eravamo io e una turista di Brescia che era dalle mie parti in vacanza. Raccogliemmo e differenziammo circa 40 sacchetti di rifiuti.

Cosa non ha funzionato?

Beh, difficile dirlo. La nostra iniziativa, come quella di molte altre associazioni, non aveva certo la pretesa di risolvere il problema ma voleva sensibilizzare la popolazione alla cura del proprio territorio. Volevamo dare un segnale ma fu un fallimento in termini di numeri. Più di dieci anni dopo tutto il mondo parla di plastica e di inquinamento e un po’ mi sento meno solo! Forse oggi verrebbero più persone a raccogliere rifiuti.

Qual è lo scopo del documentario?

È molto semplice: sensibilizzare le persone ad un utilizzo più consapevole delle plastiche e delle risorse, tenendo conto che non esiste l’impatto zero. È un obbiettivo duro, non impossibile, ma soprattutto necessario. Non possiamo più permetterci altri cinquant’anni con le stesse modalità di produzione utilizzate fino ad oggi, per noi stessi, i nostri figli e il nostro pianeta. Non è più retorica affermare che Non esiste un pianeta B.

Dove vedremo il documentario?
In televisione… non posso dirvi altro!

Noi ci resta che aspettare.

Giovanni Licursi

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