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Intervista ad Alessandra Dell’Aquila campionessa di Karate

NOME
Alessandra dell’Aquila
LUOGO DI NASCITA
San Giovanni Rotondo (FG)
DATA DI NASCITA
14.06.1987
SPECIALITÀ
Kumite
CLUB DOJO
Arte & Movimento Sannicandro Garganico

MEDAGLIERE

2009
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum. / 1° kata
2010
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum. / 1° kata
2012
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum. / 3° fukugo
2013
– Camp. It. Ass.: 3°
– Coppa Shotokan: 2° kum. / 3° kata
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum. / 3° kum. sq. / 2° kata sq. / 2° enbu
2014
– Camp. It. Ass.: 3° kum.
– Coppa Shotokan: 1° kum. ind. / 1° kum. sq.
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum.
2015
– Coppa Shotokan: 1° kum. / 2° kum. sq.
– Camp. Centro Sud: 1° kum. / 1° kum. sq.
– Camp. It. Ass.: 2° kum.
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum. / 1° kum. sq. / 3° fukugo / 3° kata
2016
– Camp. It. Ass.: 3° kum. sq.
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum. / 1° kum. sq. / 1° fukugo / 3° kata / 1° enbu
– Premio Miglior Atleta “Yu Shu Sen Shu”
2017
– Camp. It. Ass.: 1° kum. / 3° kum. sq.
– Camp. It. Centro Sud: 1°kum. / 1° kum. sq. / 1° fukugo / 2° kata / 1° kata sq.
– WSKA: 3° kum. sq.
– Premio Miglior Atleta “Yu Shu Sen Shu”
2018
– Camp. It. Ass.: 2° kum. / 3° fukugo
– Camp. It. Centro Sud: 1° kum. / 1° kum. sq. / 2° fukugo / 3° kata

“Avere l’opportunità e l’onore di indossare la maglia azzurra è sempre stato il mio sogno. Lo ricorderò per tutta la vita”.

Come e perché hai iniziato a praticare karate?
Ho iniziato a praticare Karate a dodici anni, seguendo mio fratello minore che aveva iniziato prima di me. Ricordo perfettamente che la prima lezione di prova non mi piacque affatto e che continuai a fare danza (prima di diventare karateka ero una ballerina!). Esattamente un anno dopo decisi di intraprendere l’intero percorso, perché sono una fan di Bruce Lee, di Dragon Ball, della cultura giapponese e, soprattutto, perché all’epoca desideravo crescere spiritualmente ed ero convinta di riuscirci attraverso le arti marziali.

Praticare una disciplina marziale/sportiva a livello agonistico prende molto tempo, richiede sacrifici, costanza, perseveranza.

Chi riconosci come tuoi Maestri, cosa ti hanno insegnato e che tipo di rapporto hai con loro?
Ho avuto la fortuna di esser stata cresciuta da due Maestri fortissimi, nonché due persone bellissime.
Il Maestro Nazario Moffa è stato il mio primo Maestro, mi ha insegnato a “camminare” sul tatami, mi ha seguito costantemente fino all’esame di cintura nera 2° Dan e, attualmente, mi “sorveglia” dal punto di vista nutrizionale e nella preparazione atletica (senza contare gli allenamenti specifici di kata). È il Maestro dell’infanzia, a cui si può certamente attribuire il mio modo di essere razionale: mi ha insegnato a coltivare la perseveranza, la costanza e soprattutto a essere precisa, dentro e fuori dal tatami.
Il Maestro Matteo Leone ha iniziato ad allenarmi gradualmente quando ero più piccola, seguendomi nel kumite, fino a poco prima dell’esame per la cintura nera di 2° Dan, momento in cui gli allenamenti sono diventati costanti: attualmente è il Maestro che mi segue a 360°. È il mio Maestro, della strategia e della forza, mi ha insegnato a rialzarmi quando si cade, a non arrendermi, mai, fino alla fine, che una soluzione c’è sempre, mi ha insegnato cos’è lo spirito di sacrificio, che chi la dura la vince e a credere in me stessa. Sempre.

C’è un motivo per cui hai scelto il Karate Tradizionale?
Più che il Karate tradizionale, ho scelto un’arte marziale giapponese, in quanto appassionata della cultura del paese del Sol Levante, e soprattutto ho scelto il Maestro, perché c’erano solo opinioni positive su di lui e aveva un modo unico nell’impostare la lezione.

Quando e come sei diventata agonista?
Tralasciando le gare per le cinture colorate, ho iniziato quando ero Junior semplicemente seguendo i Maestri, che all’epoca gareggiavano ancora, sperimentando negli appuntamenti fuori dal Dojo quello che poi è diventato per me un fattore imprescindibile: lo spirito di squadra. Il “fare gruppo”, nonostante il karate sia una disciplina più individuale che di squadra, era divertente e importante. Era far parte di qualcosa, non eri mai solo, e dovevi essere forte non solo per te, ma anche per gli altri, per i compagni di squadra.

Dove, come e quanto ti alleni? Fai anche una preparazione atletica?
La mia “base operativa” è la palestra “Arte & Movimento” del Maestro Nazario Moffa, a Sannicandro Garganico. Dal punto di vista quantitativo, gli allenamenti cambiano in base al periodo dell’anno, in relazione agli appuntamenti federali. Solitamente mi alleno da un minimo di tre a un massimo di cinque o sei giorni alla settimana e, ovviamente, è compresa la preparazione atletica.

Com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
Sono una persona che crede molto nello spirito di squadra, caratteristica che ho ritrovato anche nel Dojo del M° Silvio Campari. Lui dà molta importanza al “fare gruppo”, infatti, da questo punto di vista mi sono trovata benissimo. Con le ragazze c’è sicuramente più intesa, siamo molto unite, considerando che condividiamo anche lo spogliatoio. Ma anche con il resto della squadra, dai più piccoli ai Seniores, sono riuscita a instaurare un buon rapporto. Nonostante la provenienza da regioni diverse e lontane, e anche se ci vediamo occasionalmente, tutto quello che si condivide nel dojo e sul tatami, sudore, sacrifici, impegno, risate, è un qualcosa che ci unisce ed è bello far parte di una squadra che la pensi così.

È una cosa a cui tengo … ed è applicabile anche al di fuori del tatami: essere pronti sempre permette di essere anche risolutivi.

Il tempo che dedichi agli allenamenti incide nella vita privata?
Gli allenamenti incidono necessariamente nella mia vita privata, perché praticando agonismo a certi livelli è inevitabile che si trascorra tanto tempo nel dojo.
Sia quando andavo a scuola, sia quando ero all’università, studiavo di notte per potermi allenare al pomeriggio, era sempre un aprire i libri, chiuderli, allenarmi, tornare e riaprirli la sera. Nei week-end saltavano le uscite con gli amici, perché c’era sempre un allenamento o un appuntamento federale.
Anche ora che lavoro è fondamentale sapersi organizzare per poter incastrare tutto. Praticare una disciplina marziale/sportiva a livello agonistico prende molto tempo, richiede sacrifici, costanza, perseveranza, ma nonostante le rinunce, ne è sempre valsa la pena, perché riesco a fare ciò che mi fa battere il cuore. Certamente non ho avuto una vita sociale convenzionale, ma attraverso l’agonismo ho trovato amici sul tatami, ho girato e visto paesaggi diversi, ho avuto modo di relazionarmi a più persone, ho imparato a organizzarmi per riuscire a fare tante cose, ho imparato quali sono i miei limiti e quali le mie virtù. Ho imparato a rispettare di più me stessa e di conseguenza gli altri, a capire i loro impegni.

Lo scoglio personale su cui hai dovuto, o devi ancora, “lavorare” maggiormente?
Agonisticamente parlando a volte tendo a “svegliarmi” con calma sul tatami, motivo per cui il M° Leone non fa che ripetermi, quasi in loop“Alessandra svegliati!”. Ma è certamente un aspetto che ho migliorato negli anni quello di essere sempre pronti e subito.
È una cosa a cui tengo tanto e che il Maestro ha cercato di trasmettermi ed è applicabile anche al di fuori del tatami: essere pronti sempre permette di essere anche risolutivi.
È un aspetto su cui ho lavorato molto, su cui sono certamente migliorata, ma di lavorare su se stessi non si smette mai.

Secondo te, qual è la tua caratteristica come atleta?
Penso di essere una persona elastica, fisicamente e mentalmente.
Dal punto di vista fisico credo di dover tanto alla danza che praticavo prima del karate, anche se con il passare degli anni si deve lavorare sempre di più per mantenersi elastici.
Mentalmente tendo a essere una persona aperta a nuove idee, cerco di vedere in ogni cosa un’occasione per apprendere qualcosa di nuovo e utile, e cerco di trovare sempre la soluzione più adatta alla situazione.

In quale specialità ti senti più preparata? Cosa ti permette di provare o di esprimere?
Sono più preparata nel kumite. Per quanto mi riguarda ho avuto la fortuna di allenarmi in un dojo di alto livello tecnico in entrambe le specialità, il che mi ha permesso di conoscerle bene.
Premetto che mi piace fare anche kata, riesco anche a portare buoni risultati a casa, ma la mia performance in una gara di kumite è tutta un’altra storia.
Credo che il motivo vada individuato nel fatto che sono essenzialmente una persona creativa e il kumite mi permette di esprimere questo lato di me stessa. Senza contare l’adrenalina, le emozioni, lo studio della strategia, la gara con l’avversario e la sfida con me stessa. Sul tatami divento una fiamma ardente, sento solo fuoco e mi sento viva.

L’avversario, reale o psicologico, più temibile?
L’avversario più temibile sono sempre stata io.
Anche se si combatte fisicamente contro altre ragazze, la sfida più difficile è sempre con me stessa: essere più veloce e più forte dell’Alessandra di ieri.
L’aspetto più importante di tutto è la mente. Esserci con la testa vale molto di più dell’essere in forma fisicamente, perché come dico sempre, quando il corpo non ce la fa, la mente va oltre.

Cosa ti ha insegnato il karate? Ti ha cambiata?
Il karate non mi ha cambiata, ma ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione come persona. Mi ha resa coraggiosa, mi ha insegnato l’adattabilità, la concentrazione, la costanza, la determinazione, l’ambizione, l’umiltà. Ho imparato a saper gestire le situazioni di stress, a non spaventarmi davanti ai problemi, ma a sentirmi, invece, ispirata.

Sono essenzialmente una persona creativa e il kumite mi permette di esprimere questo lato di me stessa.

Il momento più appagante e quello più spiacevole della tua carriera?
Il momento più spiacevole è stato il primo infortunio serio, al ginocchio, che mi ha tenuta lontana dal tatami 9 mesi. È stato un periodo durissimo, ero anche a Roma all’università a studiare, lontana dai Maestri, dalla squadra e da casa mia.
Continuare a coltivare un sogno, da sola, per tutto quel tempo, stare completamente ferma e successivamente fare esercizi in solitudine per la riabilitazione, è stata una vera esperienza di vita, dalla quale prendo forza ogni volta che qualcosa di duro mi aspetta, perché se sono uscita da quella situazione, dura fisicamente, ma soprattutto psicologicamente, posso uscire da qualsiasi altra situazione. Mi ripeto sempre che l’ho già fatto e se ci sono riuscita una volta ci riuscirò sempre un’altra e un’altra volta ancora. Del resto “cadi sette volte, otto volte ti rialzi”.
Il momento più appagante è stata la convocazione al Campionato del Mondo WSKA 2017. Ricordo esattamente la scena: era un pomeriggio d’estate ed ero a casa con mio padre che però riposava; avevo letto sul cellulare il mio nome tra i convocati e feci irruzione in camera sua piangendo e senza riuscire a parlare, perciò lui si spaventò tantissimo perché, non capendo, pensò che io stessi male.
Avere l’opportunità e l’onore di indossare la maglia azzurra è sempre stato il mio sogno.
Mi mancò il fiato. Lo ricorderò per tutta la vita.

C’è un episodio del tuo percorso agonistico che ti piacerebbe condividere?
C’è un episodio, per me molto divertente e recente perché risale al Campionato del Mondo 2017. Durante la gara a squadre eravamo contro la Spagna e io ero la prima a scendere sul tatami. Ero riuscita a “far punto” alla spagnola a dieci secondi dalla fine dell’incontro, quindi, conducevo 1 a 0 e negli altri dieci secondi restanti la mia avversaria, ovviamente, provò ad attaccarmi di tutto. I secondi finirono, ma nessuno se ne accorse, il combattimento continuava e c’era mio padre fuori che gridava: “È finita!! È finita!!”, ma niente, non lo capiva nessuno in italiano! Io ero lì a parare tutto quello che arrivava e lui che gridava. La cosa andò avanti per un bel po’ e se rivedo i video, la scena di papà che si muove, alza le braccia e grida per farsi notare e io che continuo a parare ogni cosa, è davvero troppo divertente!

Utilizzi il web per informarti su altri atleti/competizioni? Guardi mai i video dei kata o dei kumite?
Sì perché attraverso internet è possibile confrontarsi con le diverse realtà che ci sono. Ho una mente elastica, pertanto, aperta alla possibilità di poter imparare qualcosa anche dagli altri. Non mi piace fissarmi troppo solo su quello che faccio io, mi sentirei limitata. Mi piace osservare ogni tanto anche altri atleti, anche di discipline di combattimento diverse e vedere se qualcosa può essere interessante da provare.

Ti piacerebbe essere un’atleta professionista?
Se c’è qualcosa che certamente invidio ai professionisti è il tempo a loro disposizione per potersi allenare.
Non essendo professionisti, la preparazione dal punto di vista agonistico non potrà mai essere massimizzata. Ciò non toglie che alcuni di noi, nonostante gli impegni, riescano comunque ad avere una preparazione di tutto rispetto.

Cosa pensi del karate alle Olimpiadi?
Penso che il Karate meriti di essere una disciplina olimpica, perché indipendentemente dallo stile, sportivo o meno, per un agonista le Olimpiadi sono la massima competizione a cui si possa partecipare, sono un sogno.
Vero è che si tratta di “giochi olimpici” e che il Karate non è proprio un “gioco”, ma un’arte marziale con un background culturale importantissimo, che rischia di essere messo da parte nella versione sportiva. Nonostante ciò, essere inseriti, seppur in via sperimentale, nei giochi olimpici di Tokyo 2020, è un traguardo importantissimo che non può far altro che contribuire alla diffusione della nostra disciplina.

L’aspetto più importante di tutto è la mente.

Cosa vedi o come immagini per il tuo futuro?
Non mi piace progettare troppo, preferisco stare nel qui e ora, perché ho imparato che la vita è imprevedibile. Tuttavia, qualche idea per il futuro è inevitabile e professionalmente ho qualche obiettivo.
Sul piano agonistico darò tutta me stessa, fino alla fine. Ci metterò il cuore, come ho sempre fatto, e quando arriverà il momento di uscire dal tatami, valuterò la possibilità di restare comunque ai suoi lati come istruttore. Avendo sostenuto da poco l’esame finale del corso istruttori, ho in mente un domani di insegnare quanto ho appreso, e quanto continuerò ad apprendere in itinere, perché “il karate si pratica tutta la vita”.

dal sito KARATEDO

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