Comunicati

LA FRUSTRAZIONE DA “SOCIAL”

Oggi per alcuni sembra che il mondo giri esclusivamente in base a ciò che si posta su un SOCIAL, dal cibo che si mangia ai vestiti con la “griffe o meno”; dai viaggi intercontinentali agli acquisti di auto o di varie attrezzature…

Ma siamo sicuri che nella “realtà” ognuno rispecchi il suo modo di essere?

Certo, seppur in minima parte per taluni o in modo totale per altri, ciò che si posta potrebbe anche rispecchiare il “vero modus operandi”.

Alcuni interrogativi ho voluto però porli ad una psicologa, la Dott.ssa Lucia BIASCO.

COSA PUÒ SPINGERE UNA PERSONA A DARE UN’IMMAGINE DI SÉ COMPLETAMENTE DISTORTA DA QUELLA REALE?“.

La piattaforma social è un vero e proprio palcoscenico virtuale, con riflettori spesso puntati proprio su ciò che non si avrebbe mai il coraggio di esternare dal vivo, davanti ad amici e familiari. Il mondo reale ha norme di comportamento e di pensiero a volte gravose da assecondare, ed ecco allora che la propria homefacebookiana diventa la casa ideale, anzi, il mondo ideale a nostro uso e personale consumo, su misura per noi e per i nostri bisogni, dove possiamo essere come meglio ci aggrada. In questo paese dei balocchi dove pare non ci siano regole, ci si sente liberi di seguire gli impulsi, di spadroneggiare come un monarca assoluto col diritto di vita e ‘di morte’ sugli altri, grazie allo scettro delle ‘rimozioni’. La nuova immagine di sé, quella social, diventa quindi necessariamente più totalitaria, molto meno ricca di sfumature e molto più chiusa agli scambi empatici. Un segnale evidente di questa chiusura empatica è la febbre del like, che porta a ricreare nel virtuale proprio ciò da cui si rifuggiva nel reale, ovvero il timore e lo sconforto per il giudizio (e pregiudizio) degli altri. Sicché anche nel nuovo e idilliaco mondo telematico si finisce per frustrarsi e autocensurarsi, magari postando solo quello che immaginiamo possa piacere ai nostri ‘amici’ virtuali, e omettendo o edulcorando tutto il resto. Ci si limita a interagire solo con chi la pensa come noi, ovvero con chi può soddisfare la nostra vanità. Per inciso: la fame di like è inversamente proporzionale alla personale dotazione di sicurezza; una sazietà congrua e sana dell’autostima permette di non avere i crampi da fame di like, di modulare meglio le nostre reazioni alle contestazioni, e di aprirci a un dialogo più genuino, sia sul social sia nel reale. Il più delle volte ciò che siamo e scriviamo sui social non è mai totalmente aderente al vero, ma esalta solo alcune parti della nostra personalità, sicché o si diventa ‘troppo’ schietti, e quindi più esclusivisti, esuberanti e anche prepotenti, o ‘troppo poco’ sinceri, più timidi, guardinghi e suscettibili. Forse parlare di distorsione dell’immagine di sé è addirittura riduttivo, paradossalmente potremmo dire che il canale social svela e dà risonanza alla parte ‘a-social‘ del sé.

Va in ogni caso sottolineato che una certa percentuale di distorsione dell’immagine che offriamo di noi sui social è legata anche alla struttura intrinseca di facebook, i cui post non consentono certo argomentazioni articolate e pazienti. Il canale social ha come principali caratteristiche la velocità e l’immediatezza, vista la calca di utenti che potrebbero intervenire nelle nostre conversazioni: per cui si deve leggere in fretta tutti i commenti e decidere con altrettanta foga cosa rispondere. Non si ha tempo per capire il punto di vista altrui, e diventa molto facile esacerbare toni e opinioni che nella vita reale, con tempi più dilatati e con contatti a viso aperto, sarebbero abitualmente meno lapidari e più prudenti.

Recapitolando: l’immagine reale cambia passando attraverso il mezzo social, ma io non mi preoccuperei di questo, mi preoccuperei piuttosto dell’inverso e cioè di quanto la nostra immagine social possa poi di rimando influenzare la nostra immagine reale…

ALCUNI  SI TROVANO A CONDURRE UNA DOPPIA VITA, SOPRATTUTTO QUELLI CHE NON MOSTRANO IN MODO VERITIERO LE PROPRIE GENERALITÀ. COSA RISCHIANO?“.

Avere una vita social alternativa a quella che si conduce nel reale, è argomento anche questo strettamente inerente all’autostima e alla capacità di creare una vita gratificante. Fatti salvi alcuni sporadici casi in cui per sicurezza o riservatezza i soggetti non vogliono fornire le proprie generalità, generalmente i profili fake che si presentano non solo con nomi di fantasia ma anche con mestieri, titoli e competenze allegramente inventati, sono la limpida espressione di un bisogno di evadere dalla banalità, di trovare soluzioni e situazioni più divertenti e originali per le proprie insoddisfazioni e solitudini. Quindi il problema non è tanto il fatto di fornire generalità non autentiche, ma cosa si vuole dire e fare con questa esistenza inventata.

Molti fake non si limitano a una più o meno misurata goliardia, ma diventano veri e propri troll, i cosiddetti disturbatori del web. In ogni caso i troll non costituiscono una categoria omogenea.

Vi sono per esempio i troll che svolgono per così dire una funzione di ‘guardiani’ delle pagine social (il più delle volte a sfondo politico): questo tipo di disturbatori ‘lavora’ sempre in gruppo e tramite le leggi bullizzanti del branco, ‘aggredisce’ la voce dissenziente.

Poi vi sono i troll che più esplicitamente manifestano sintomi di disagio psichico, utilizzando i social come valvola di sfogo delle proprie tendenze sociopatiche: se i troll guardiani di primo acchito non sono così intuitivamente identificabili come tali, i troll ‘problematici’ sono invece istantaneamente individuabili: il loro turpiloquio e le loro provocazioni prendono specificamente di mira le fasce più deboli della popolazione (bambini, persone con handicap, ecc.), dissacrando le pagine a loro dedicate. Si tratta in realtà di personalità più masochiste di quel che sembra perché il loro divertimento non sta tanto nell’attaccare, quanto nell’ottenere nevroticamente la reazione altrui di contrattacco, probabilmente a causa di sensi di colpa inespressi, sicché il tentativo di umiliare gli altri è una richiesta di essere umiliati per espiare le proprie colpe.

Infine vi è la categoria più distintamente criminale che usa il web per scopi legati a truffe, furti, strupri, ecc.

Quindi è molto grande il calderone dove la giustizia può e deve rimestare per tamponare gli eccessi e scongiurare i reati.

Va tuttavia sottolineato che il legame tra social e legalità è insidioso, perché non ancora ben conosciuto o compreso: per esempio spesso vi è confusione tra ciò che può essere condiviso pubblicamente e ciò che al contrario appartiene alla sfera privata e che qualora fosse condiviso da terzi senza autorizzazione, farebbe incorrere nel reato di violazione della privacy. Stesso discorso per quel che riguarda reati come calunnia, diffamazione, ecc.: un reato è sempre reato, qualunque sia il luogo in cui viene rilevato. Né si deve credere che basti avere un profilo con generalità non autentiche per sfuggire alla giusta pena: la polizia postale ha tutti i mezzi necessari per risalire al vero nome dello sprovveduto colpevole.

Ciò che spinge molti utenti ad essere così spensierati nelle loro interazioni facebookiane, è primariamente ciò di cui accennavo prima: l’errata convinzione che il social, in quanto mondo virtuale, sia anche un mondo senza regole, una ZONA FRANCA in cui le azioni commesse possano rimanere prive di conseguenze. In seconda istanza vi è la sensazione, direttamente collegata alla precedente convinzione, che il monitor rendendoci ‘invisibili’ possa anche renderci imprendibili…

SUI SOCIAL CAPITA ANCHE CHE, MANIFESTANDO UN PROPRIO PARERE, SE L’ARGOMENTO  È A SFONDO POLITICO O RELIGIOSO, SI RISCHIA IL LINCIAGGIO DA PARTE DI POCHI O PIÙ UTENTI. PERCHÉ TANTA RABBIA VERSO IGNOTI SOLO PER UNA FRASE?“.

Il social non è un buon canale comunicativo. È anzi un generatore di campanilismo ideologico che mal tollera il confronto e storce il naso davanti alla mediazione. Basti pensare alla creazione dei vari gruppi facebookiani tutti costruiti intorno a codici di adesione che non ammettono repliche: o si accetta tutto il pacchetto o si viene buttati fuori. Si tratta di una rivisitazione moderna dell’appartenenza a un clan. Chi vi entra li vive come una scappatoia per non sentirsi da soli con le proprie idee: stando nel gruppo si può ‘contare’ tangibilmente quanto seguito ha la propria idea, e si ha l’occasione di essere sostenuti, aiutati e protetti. Ma lo scotto da pagare è l’omologazione: o la si pensa esattamente allo stesso modo rinunciando a ogni guizzo di libertà di pensiero, oppure si viene banditi e si torna a essere soli. Se invece si accettano le regole del ‘clan’, si diventa branco, ci si sente più forti e più spregiudicati. La facoltà di scegliere deteriora in urgenza di tifare. E il tifo non è mai razionale. Anzi è viscerale, cieco, rabbioso e spesso violento“.

PUÒ SUCCEDERE ANCHE CHE PROFILI, DA PERFETTI SCONOSCIUTI, AZZARDINO GIUDIZI SUL MODO DI ESSERE DI CHICCHESSIA, SOLO ‘SPULCIANDONE’ LA BACHECA, SENZA FIGURARE TRA I  CONTATTI… CONSIDERANDO AD ESEMPIO UNA PERSONA CHE SI TIRI DELLE ARIE COME SE SI SENTISSE UNA MADONNA, MA SOLO PER QUALCHE CONSENSO CHE RICEVE… SI PUÒ, SENZA CONOSCERE AFFATTO E REALMENTE UN CONTATTO, ODIARLO A TAL PUNTO DA ENFATIZZARE CIÒ CHE NON ESISTE? E DA COSA PUÒ DIPENDERE?“.

Dicevamo che il social non è un buon canale comunicativo, e di conseguenza, non è neanche un buon canale conoscitivo. Immediatezza e velocità del mezzo necessariamente portano a superficialità dei risultati. NON SI GUARDA, MA SI SPIA, NON SI CONOSCE MA SI GIUDICA, NON SI CAPISCE e quindi SI SBERLEFFA e SI CONDANNA. Insomma: né più e né meno di quanto spesso si nota nella vita reale, con in più l’amplificazione narcisista e l’irrigidimento ideologico tipici del social.

L’antidoto è uno solo: L’USO SAGGIO DELTEMPO che contempla pacatezza, se necessario lentezza, e la riscoperta del valore della curiosità dell’altro, in contrapposizione alla visione dell’altro come mezzo di certificazione del sé…

Voglio comunque concludere questa panoramica non proprio generosa sul social, con una chiosa per così dire magnanima, che dà spazio anche a qualche nota positiva. Penso soprattutto alla grande mole di informazioni che non sarebbero altrimenti reperibili nei media tradizionali dove spesso è riscontrabile solo una mortifera uniformizzazione del pensiero. Riguardo alle cosiddette fakenews, credo che in tanti stiano creando una fobia inutile: l’esame di realtà basta e avanza per smontarle, senza rincorrere a leggi speciali che di fatto si traducono in censura.

Qualcuno ha detto che i social hanno dato voce anche ai cretini: beh, meglio un cretino che parla, piuttosto che qualche fanatico che si prende il potere di vietarlo“.

Personalmente invece, quale utente iscritta, aggiungo che la Dott.ssa BIASCO abbia enunciato delle importanti verità e comunque dovremmo ricordare che  la parola CRITICA non è uguale ad INSULTO.

InoltreLA VITA NON È FACEBOOK.

(Chi sa il fatto suo, nei modi e negli interessi sempre suoi, spesso non ha nemmeno un profilo).

Chi è ‘UMILE’ poi, non rileva in altri la mancanza di ciò che pretende invece di avere,

sempre se la possiede davvero…

L’UMILTÀ.

In compenso l’altra faccia della medaglia offre, attraverso i social, la possibilità a tutti, democraticamente di esporre le proprie opinioni e di conoscere persone con cui i rapporti di STIMA e di AMICIZIA si concretizzano oltre il virtuale.

Elisabetta Ciavarella

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