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La Pastorale Giovanile: “Un 17enne freddato con il beneplacito dell’indifferenza”

In questo venerdì di inizio Ottobre il freddo è tanto. Non solo quello climatico, quanto, soprattutto, quello scaturito dal timore, dalla paura ma, in special modo, dalla riflessione amara che fa raggelare il sangue nelle vene, alla luce dei numerosi episodi violenti di cui molti giovani sono protagonisti, vittime o carnefici di un sistema che ha sostituito all’educazione l’egoismo.
Sono noti a tutti i numerosi episodi violenti che vedono il mondo dei più giovani, ormai da molto, coinvolto in manovre che, spesso, hanno burattinai senza remore che muovono fili di azioni che hanno gli adolescenti quali pedine di movimenti sbagliati, purtroppo resi, agli occhi di tanti coetanei, esempi di spavalderia, coraggio, forza.
Sarebbe scontato dire che la Pastorale Giovanile si unisce al dolore dei familiari delle vittime della violenza, vittime anche coloro che la violenza la perpetrano nella falsa convinzione che, con la forza, si possa dominare la propria vita!
Lo scopo del presente comunicato non è, tuttavia, seppur nobile, quello di solidarizzare semplicemente o attuare una puntuale riflessione, quanto, piuttosto, di suscitare domande che, da tempo, lungo tempo, forse troppo, tornano a scuotere le menti senza, però, evidentemente, coinvolgere le coscienze nè il sistema educativo.
E’ possibile lasciare che un adolescente, un bambino, direbbe qualcuno, di soli 17 anni venga freddato col beneplacito dell’indifferenza per motivi apparentemente futili?
Ma cambierebbe qualcosa se i motivi fossero stati importanti?
Lo sgomento più grande è, piuttosto, quello relativo al possesso di armi e al loro uso senza condizioni (anche da parte di minori) come se uccidere fosse la cosa più ovvia per risolvere i problemi, come quando due amici litigano e si cancellano da facebook. Nella vita reale, basta un grilletto, ahinoi!, per cancellare chi ci crea qualche problema. Perchè il punto, forse, è proprio questo: più che affrontare le situazioni, si preferisce toglierle di mezzo. Lo stesso con le persone e le relazioni. La violenza, la superficialità, il risolvere tutto in fretta e senza troppe complicazioni hanno reso normale ciò che normale non è affatto. Quanto a lungo dovremo attendere, allora, nell’apprendere sempre della reiterazione di azioni violente senza che l’azione educativa e quella di solidarietà sociale, di responsabilità civile e civica, prendano il sopravvento sulla mentalità dell’egoismo? Fino a quando riusciremo e dire ancora: “non mi tocca!” oppure “per fortuna non è successo a me!” prima che la coscienza inizi a pruderci e a smuovereci dall’insano torpore dell’egoismo? Per quanto, ancora, troveremo giustificazioni nei comportamenti dell’altro prima di renderci conto che sono le nostre azioni a costruire il mondo in cui ci troviamo? Quando saremo in grado di valorizzare le cose positive, che pur ci sono, senza lasciare che il nero della violenza schiacci la bellezza? Dovremmo rimetterci in gioco, partecipare in prima persona alla vita cittadina prima di dire che “Questi sono i giovani! Che futuro ci daranno!”. Ma i giovani, in che presente vivono? La violenza, da tanti anni, ormai, ci pone davanti ad una domanda più complessa, una domanda di senso, cioè: “quanto mi sta a cuore?” Si, perchè anche la violenza, in fondo, ha bisogno di cure, ha bisogno di cuore!

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