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L’investimento del Paese, i costi e la qualità

Spesso l’esigenza di liquidità sollevata dal settore produttivo non trova un risposta adeguata sul
territorio. Le aziende devono quindi crearsi propri strumenti creditizi per continuare il traghettamento
fuori dalle acque della crisi. Per un imprenditore come me che investe ingenti somme di denaro per
poter creare posti di lavoro e crede in un sistema globale produttivo in Italia, talvolta viene classificato
come un sognatore.
Eppure la situazione italiana cosi delicata e fragile non è dovuta solo a un problema di costo. Allora
qual è il problema?
Certamente c’è un problema di qualità e qualificazione del lavoro, un sistema di welfare che funziona
prevede che le aziende in crisi licenzino i lavoratori e che questi abbiano accesso a una rete di
protezione aperta a tutti ma subordinata alla effettiva volontà di ritrovare un posto, dunque di entrare
in processi di formazione per rispondere meglio alle esigenze del mercato.
In Italia succede l’opposto: si tende, con la cassa integrazione, a conservare i lavoratori in azienda
anche se è decotta.
Poi la cassa integrazione finisce, i lavoratori perdono comunque il posto, nel frattempo non hanno fatto
formazione e si scoraggiano, in più la cassa non viene data a tutti.
Questo sistema rende più difficile e più lento il recupero dei livelli occupazionali: dopo la crisi del 1992
(quando vennero persi 2 punti di Pil) ci sono voluti otto anni per tornare ai livelli occupazionali
preesistenti.
Il Pil del nostro Paese dovrebbe registrare una crescita dell’1,4% nel 2017 e dell’1,2% nel 2018. È
quanto afferma l’Organizzazione nel suo ultimo Economic Outlook, sottolineando che un simile
miglioramento “è dato dalla richiesta interna” e “dall’incremento occupazionale che supporta i consumi
privati”.
La domanda nasce spontanea, quando ci metteremo a recuperare i livelli della prima metà del 2008? La
crisi era l’occasione per riformare un mercato che non funziona, ha troppi vincoli, e che comunque è
anche molto costoso, ma soprattutto non è trasparente.
In altri paesi evoluti un investitore di lungo periodo sa che se assume 100 persone, queste avranno un
costo certo con una produttività abbastanza definita. Un investitore in Italia deve interpellare sia un
consulente del lavoro e un professionista in economia aziendale (molte volte impreparati) che gli
diranno che il costo delle persone assunte inciderà moltissimo, e che la resa del lavoro dipenderà da un
a serie di fattori difficili da prevedere, a seconda dei contratti dei singoli, delle condizioni negoziate con
l’inps, della produttività effettiva dello stabilimento o azienda che non è possibile stabilire a priori.
E infatti gli investitori stranieri in Italia non vengono volentieri.
In un paese come il nostro dove ogni giorno si spera che le cose cambino è possibile accettare ancora la
solita minestra riscaldata e perdonatemi scaduta?.
Perché intorno a mille problemi un imprenditore italiano deve accettare per legge (oserei dire per forza)
un sistema che alla fine non porta sicurezza imprenditoriale a nessuno. Allora mi viene da pensare chi ci
guadagna in tutto questo???? Le risposte forse le conosciamo ma molte volte non le accettiamo.
Con affetto
Pino Accettulli.

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