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L’USURA SOPRAVVENUTA

L’usura è la pratica consistente nel fornire prestiti a tassi di interesse illegali: con maggior impegno esplicativo, è definito usurario il tasso di interesse che supera le soglie stabilite dalla legge.
L’usura sopravvenuta può configurarsi a causa della fluttuazione nel tempo del tasso-soglia, che viene ricalcolato periodicamente sulla base delle rilevazioni trimestrali dei Tassi di Interesse Effettivi Globali Medi (TEGM).
La dottrina ha a lungo riflettuto su come riequilibrare un contratto viziato da tassi divenuti, in itinere, usurari.
Pensare ad una invalidità del contratto per “nullità sopravvenuta” è un errore di sistema: la nullità è
genetica, non può essere sopravvenuta. Si potrebbe pensare, allora, al rimedio della inefficacia: soluzione a discapito, però, del mutuatario che vede, in questo modo, svanire gli effetti del contratto.
Ed ecco che entrano prepotentemente in gioco i principi: applicando il principio di solidarietà sociale in combinato disposto con la clausola di buona fede e correttezza, si può riequilibrare il tasso usurario e quindi il contratto.
Si evidenzia, però, così, una ferita alla certezza del diritto.
Un principio che regola un fatto, a discapito di una norma, fa perdere rigore all’apparato normativo.
Come espone brillantemente autorevole dottrina (Natalino Irti), facendo propria l’elaborazione primigenia ed aurorale del sociologo Max Weber, contro le clausola generali ed i principi si infrange l’esigenza di certezza dettata dallo sviluppo capitalistico, la quale pretende che sia garantita la calcolabilità e la prevedibilità degli effetti degli atti dell’ “homo oeconomicus” a tutela degli investimenti, dei traffici e delle relazioni commerciali che solo la “legge scritta” può garantire, non l’astrattezza di un principio.
«Le esigenze dei casi valgono di più della volontà legislativa e possono invalidarla» si legge, di contro, nella costruzione del “diritto mite” del prof. Zagrebelsky, col quale però alcuni autori polemizzano (“si parva licet componere magnis”) per la sua tranciante idea di ragionevolezza come giustizia sganciata, quasi totalmente, dal dato positivo e rivolta a far prevalere i principi sulla legge.
La ragionevolezza è razionalità, intesa come elemento di equilibrio e misura: quindi è, a ragione, stella polare dell’ordinamento giuridico.
Ma staccandosi completamente dal dato normativo si rischia di creare soluzioni diverse per casi identici, con lesione inaccettabile del principio di uguaglianza.
AVV. MAURO CASILLO

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