Maria SS. del Soccorso: Molto Più di un Simulacro. Reportage di Fr. Umberto Panipucci

Di Fr. Umberto Panipucci
Ho avuto il privilegio, come frate francescano da anni dedito allo studio della teologia e con una profonda devozione mariana che nutre la mia stessa vocazione, di assistere a quello che, nel cuore pulsante di San Severo, si è ormai sedimentato come un rito quasi ancestrale: la solenne vestizione del simulacro della Madonna del Soccorso. Anni di studio teologico mi hanno forgiato a scrutare la realtà con gli strumenti affilati della ragione, un metodo che, pur nella sua imprescindibile utilità, riconosco come parziale nella sua pretesa di decifrare la complessità dell’esistenza. Per questo, mosso da una curiosità intellettuale che anela a una visione olistica e dal desiderio, tipicamente francescano, di comprendere il sacro nella sua dimensione più popolare e vissuta, ho voluto accostarmi a questo momento sacro spogliandomi, per un istante, delle lenti analitiche dello studioso, cercando di coglierne l’essenza con gli occhi semplici e sinceri del fedele, con il cuore di un figlio che si accosta alla propria Madre celeste.
Come fotoreporter, un umile servizio che talvolta mi viene richiesto nella mia missione pastorale, armato di rispetto riverenziale, ho ottenuto il permesso di avvicinarmi all’effige mariana, desideroso di narrare visivamente la scena che si dispiegava. Un consesso di uomini, identificati come membri dell’Arciconfraternita di Maria Ss. del Soccorso, con gesti misurati e devoti, ha delicatamente deposto la statua dalla sua nicchia nella chiesa di Sant’Agostino. Tra loro, un volto a me familiare, un uomo che conosco personalmente e la cui esistenza è attualmente segnata dalla tenace lotta contro una grave malattia. La sua presenza, così come quella di altre figure raccolte in prossimità della Vergine e intente a preparare il percorso processionale, ha illuminato in me una comprensione più profonda di un concetto già intuitivamente percepito nella mia fede mariana.
In quell’istante, con una chiarezza quasi epifanica, ho compreso che quella statua trascende la sua materialità lignea per farsi simbolo vivente, un fulcro attorno al quale, per secoli, si sono condensati gli sguardi oranti di innumerevoli fedeli, un’eco delle innumerevoli preghiere filiali rivolte a Colei che per noi è Madre e Regina. La sua “vita” immateriale permea visceralmente la cultura di San Severo, intrecciandosi indissolubilmente con i primi sussurri religiosi di ogni suo abitante, soprattutto di coloro che incarnano la semplicità più autentica. Persino chi si dichiara estraneo al credo religioso non può negare un legame singolare con questo emblema identitario. Simbolo, nella sua etimologia di “ciò che mette insieme”, essa congiunge speranza e fede, amalgama il popolo nelle sue diverse stratificazioni sociali ed economiche, accoglie le aspirazioni più elevate e, inevitabilmente, le fragilità connaturate alla condizione umana – su cui, tuttavia, non intendo dilungarmi in questa sede.
Si manifesta, dunque, una simbiosi organica tra la statua, la comunità, la storia di questa terra, un’entità viva che ha conosciuto una sua peculiare crescita ed evoluzione nel fluire del tempo. Esiste un vincolo profondo, quasi mistico, con il mistero di Cristo e di sua Madre, un legame intimo di amore che nutre l’anima di ogni cattolico, un sentimento che come francescano sento particolarmente vivo nel mio cuore. La vertigine mi ha assalito al solo pensiero di questa complessa interconnessione. Ho osato sfiorare la veste della Madonna con un tremore riverenziale, un gesto che mi ha evocato l’immagine evangelica dell’emorroissa che, toccando il lembo del mantello di Gesù, sperimentò la guarigione, un episodio che spesso medito nella mia vita di preghiera e servizio. Molti di coloro che si stringevano attorno erano mossi da un’energia interiore che sfuggiva a una precisa definizione razionale; alcuni recitavano con fervore il rosario, e io stesso, mentre catturavo con l’obiettivo la sacralità del momento, mi sono ritrovato a cantare sommessamente e a pregare, unendomi al coro silenzioso di tante anime devote.
Lo spazio circostante si faceva progressivamente più angusto per l’affluire incessante di persone, ma non ho avvertito in me alcun giudizio. Ero lì per testimoniare una storia di portata così vasta e profonda, mi trovavo di fronte al ricettacolo di speranza, di conforto, di fede di un intero popolo, una forza spirituale immensa e sacra. La Madonna del Soccorso e il suo eterno Bambino non sono semplicemente una pregevole scultura artistica; essi incarnano qualcosa di infinitamente più grande, un’anima collettiva che pulsa nel cuore di San Severo, un riflesso terreno dell’amore materno di Maria che, come ci insegna la nostra tradizione francescana, è rifugio sicuro e porta al Figlio.
(Tutte le foto sono di proprietà di Fr. Umberto Panipucci – riproduzione vietata)
