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ROBERTO VECCHIONI: “SERENITÀ È IL SURROGATO DELLA FELICITÀ”

“Mentiva EPICURO. Non si è felici nell’imperturbabilità, ma nell’attraversamento del vento e della tempesta”: lo chiarisce subito ROBERTO VECCHIONI, all’inizio del volume ‘La vita che si ama. Storie di felicità’ (Ed. Einaudi, pp.160, 16,50 EURO), che considera il suo libro più intimo, più autobiografico e urgente. “La serenità, con cui ho un rapporto di amore e odio – racconta il cantautore – è solo il surrogato della felicità. Secondo me l’imperturbabilità, lo stare bene e sentirsi rilassati, ha il suo buono però è anche vigliaccheria, un modo per non mettersi in gioco, per non mettersi in discussione. Credo che la felicità faccia il paio con il dinamismo, con la voglia di combattere, di conoscere gente, di tentare di non essere sempre uguali a se stessi, di impegnarsi in qualcosa”. La felicità è, a suo avviso, come la febbre addosso, ovvero “qualcosa che ti mette continuamente in sollecitazione”. Viceversa “stare su una spiaggia a bere cocktail dalla mattina alla sera, magari in mezzo a bellissime ragazze, può dare gioia, ma è solo la punta di un iceberg bellissimo che è la felicità, che va scoperta altrove”. È inutile chiedersi cosa sia la felicità o come fare a raggiungerla. Lo scrive un padre ai propri figli nella lettera che apre questo libro: la felicità, spiega, non è una questione d’istanti, ma una presenza costante, che corre parallela a noi. Il problema è saperla intravedere, imparando a non farci abbagliare. VECCHIONI dedica ai suoi quattro figli, FRANCESCA, CAROLINA, ARRIGO ed EDOARDO, i racconti che compongono il volume. C’è spazio anche per i genitori e per DARIA COLOMBO, la donna della sua vita. VECCHIONI, poeta e filosofo, attinge alla propria biografia per costruire un vero e proprio manuale su come imbrigliare la felicità, senza farla scivolare via finché non diventa soltanto un ricordo. Ma ci sono anche le canzoni, scritte in un arco di quasi quarant’anni. Ci sono squarci letterari: un racconto dalle Mille e una notte, la storia di PAOLO e FRANCESCA, il mito di ORFEO ed EURIDICE, un frammento di SAFFO. C’è l’amata Casa sul lago, testimone di tanti momenti, alcuni dei quali difficili e persino spaventosi. La vita che si ama “non è quella del successo, delle grandi vittorie, dei grandi premi, ma quella del quotidiano, quella di cui non ti accorgi quando sei portato qua e là dal vento degli impegni”, spiega VECCHIONI. Questi 13 racconti “sono una bella prova di come si possa uscire sempre dagli inevitabili problemi della vita”, e anche alla malattia, perché la felicità “è sempre a portata di mano”.

A FRANCESCA, CAROLINA, ARRIGO e DODI papà VECCHIONI ha sempre “insegnato ostinatamente il gioco e il sogno”. Una “faticaccia tremenda, ma non quanto quella fatta da mia moglie – racconta – che ha dovuto insegnare loro la realtà. Abbiamo costruito insieme un fortino in cui viviamo non da decrepiti utopisti, non di illusioni, ma di cose che ci salvano la vita quando sembra troppo brutta. Riusciamo a ridere l’uno dell’altro, a prendere le cose con ironia e a volerci bene. Non ho mai visto quattro fratelli così uniti, i miei figli si chiamano tra loro ‘brothers and sisters’ e raccontano tutte le scemate che fa il padre. Questo libro lo hanno voluto loro proprio per capire meglio chi è il loro papà”. Il messaggio ai giovani del prof. VECCHIONI, che di ragazzi tra scuola e concerti ne ha conosciuti davvero tanti, è di non perdere la speranza, anche se tutto sembra non andare, a partire dalla complicata ricerca di un lavoro. “I giovani hanno grande coraggio. Li difendo sempre, lo facevo anche al liceo. Vanno aiutati – continua VECCHIONI – anche se fanno errori (i vecchi ne fanno molti di più). E vanno considerati. Credo che ci siamo anche dei buoni maestri. Investiamo di più sui giovani”. Un consiglio ai ragazzi? “Dare calci in culo (metaforici, si intende) ai vecchi per svegliarli perché – conclude – in Italia c’è assenza di moto e la tendenza a non concludere mai niente”.

G. C.

 

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