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San Severo: LA SCALA DI SAN ROCCO

Erano lunghi i pomeriggi dell’estate del ’58 e i ragazzi del quartiere di via Roma avevano escogitato un passatempo che li teneva uniti per tutto il giorno. Si trattava di realizzare un gioco alquanto pericoloso: <<u còccë in’ àrjë>> (barattolo in aria). Consisteva nel far saltare in aria un barattolo di latta dopo averlo conficcato per metà in una buca e dopo aver praticato un foro sul fondo. Nella buca era necessario inserire dell’acqua e del carburo, una sostanza chimica che si acquistava presso un negozio di ferramenta e che serviva per le lampade a petrolio. Si creava così, nel barattolo una specie di camera a scoppio per l’addensarsi del gas prodotto dalla reazione chimica del carburo. Il più coraggioso avvicinava cautamente una bacchetta dalla punta infuocata al foro del barattolo e immediatamente si udiva uno scoppio e il barattolo saltava in aria. Tra i ragazzi si gareggiava a chi lo spediva più in alto. CIRO raccomandava di non farlo quel gioco, era pericoloso e in alcuni casi avrebbe potuto procurare delle ferite a chi accendeva la miccia. Ma alcuni ragazzi avevano già l’istinto del fuochista e la vocazione a “sfidare” i pericoli dei fuochi artificiali usati soprattutto per la festa patronale. CIRO aveva altri argomenti per accendere la fantasia dei ragazzi e usava solo quelli: il racconto, l’affabulazione, l’abilità nel modulare la voce per rappresentare tutti i personaggi di una fiaba o di una storia realmente accaduta. Ma quello che rendeva tutto più accattivante era l’uso del dialetto per sottolineare i momenti più importanti. Dopo cena c’era il rituale raduno sulle scale del vecchio palazzo e CIRO raccontava di una misteriosa scala collocata nelle immediate vicinanze della statua di San Rocco situata nella chiesa della vicina Cattedrale. Dopo essersi assicurato che tutti i presenti conoscessero quella scala, cominciava col dire che lì si celava un segreto. Si celava un camminamento sotterraneo, una galleria che portava verso il convento delle monache benedettine. Un antico monastero adibito a scuola elementare e che nel Settecento era una fiorente comunità di giovani monache di clausura. Fu proprio in quell’epoca – raccontava CIRO – che fu consegnato alle monache un neonato lasciato dalla madre poiché poverissima e col marito costretto a partire soldato. Lo chiamarono FORTUNATO e quel neonato – dieci anni dopo – scovò per caso il camminamento sotterraneo e sbucò nella Cattedrale proprio ai piedi della statua di San Rocco, dove una donna e un soldato pregavano per ritrovare il loro figlio. La emozionante storia di FORTUNATO che ritrovava i propri genitori, portava i ragazzi a rincasare felici e contenti. La fiaba, luogo di ogni ipotesi, aveva raggiunto il suo scopo.

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