UNA ‘STORIACCIA’ DI UN SECOLO FA DI ABILISSIMI E INSOSPETTABILI TRUFFATORI DEL 1920 E DINTORNI

di DESIO CRISTALLI
“FIORITURA DI DELINQUENZA”, così l’11 luglio 1920, un anonimo redattore de “Il Foglietto” (di Foggia) intitolava il suo servizio, nel quale riportava un ampio resoconto sulle prime notizie di una vicenda di cronaca giudiziaria, a prima vista ordinaria ma, ben presto, rivelatasi estremamente interessante e tale da promettere altre forti emozioni ai cittadini-lettori di Foggia e provincia. L’estate del 1920 fu particolarmente calda in Capitanata (come questa??), ma a surriscaldare ancora di più l’ambiente intervenne una notizia-bomba, riferita poi anche da giornali nazionali, riguardante le indiscrezioni sulle rivelazioni fatte alla polizia da un certo RENATO G., incappato nella rete tesagli da agenti foggiani e baresi, che sospettavano soltanto un tentativo di truffa. Invece, quando fu sottoposto a interrogatorio, dalle sue confessioni si apprese con stupore che la nostra provincia era, da lungo tempo, il centro operativo di una fiorente organizzazione delinquenziale, che aveva esteso i propri illeciti traffici non solo a più regioni italiane, anche lontane, ma persino all’Albania. Inoltre RENATO G. rivelò pure, con una certa arroganza, senza però farne i nomi, che buona parte dei componenti di tale associazione a delinquere erano persone insospettabili e stimate negli ambienti provinciali; fatto questo che contribuì a rendere ancora più “appetibile” la notizia e sempre più viva la curiosità circa le generalità dei truffatori, tanto abili da essere riusciti a tenere nascosta, per tanto tempo, e sotto gli occhi di tutti, una così estesa attività truffaldina. Lo scandalo, dunque, era grande e non circoscritto al ristretto ambiente provinciale, ma di portata nazionale; di conseguenza, tanto più legittimo appariva a molti il timore che le indagini, a causa di pressioni autorevoli, potessero venire…insabbiate. Per questo motivo un deputato comprovinciale dell’epoca si fece promotore di un’interrogazione parlamentare, al fine di conoscere bene i fatti e, soprattutto, di garantire che i veri responsabili non sfuggissero alle pene previste dalla legge. Cosa facile sul piano teorico, ma non su quello pratico, perchè, già dai primi accertamenti, risultò chiaro che la banda in questione non solo aveva avuto a disposizione imponenti mezzi finanziari, ma aveva anche goduto di non indifferenti “coperture politiche”, per mezzo delle quali era sempre riuscita ad ottenere preziose informazioni, ad evitare ostacoli e, in definitiva, a farla franca. Si scoprì, infatti, che l’organizzazione criminale di questa terra possedeva un eccezionale parco di automobili e camion, utilizzati per spostare con rapidità ogni specie di refurtiva da un luogo all’altro del territorio nazionale e per fronteggiare tempestivamente ogni imprevisto che potesse mettere in pericolo quella lucrosa e multiforme attività illecita, che andava dai grossi furti ferroviari, perpetrati con la deviazione dal percorso normale di interi convogli merci, alla sottrazione di benzina e materiali bellici dell’amministrazione militare, allo svaligiamento di interi negozi ed appartamenti in ogni regione italiana. L’organizzazione era riuscita a mettere a punto una macchina logistica tanto perfetta da essere in grado di trasportare, in pochissimo tempo, al sud il materiale trafugato al nord e viceversa. Naturalmente anche uomini addestrati e con mezzi efficacissimi a disposizione non avrebbero mai potuto realizzare tali imprese se non ci fosse stata la complicità di alti funzionari della pubblica amministrazione nazionale e locale e il contributo…”professionale” di vecchi delinquenti. Sulla testa di inquirenti foggiani e baresi veniva, pertanto, a cadere la classica ‘tègola’ di dover inaridire la trama criminosa. Il bandolo di una matassa tanto aggrovigliata era stato trovato, per la prima volta e per caso, a Bari, quando un commerciante del luogo aveva sporto denuncia contro l’impiegato ferroviario foggiano RENATO G., accusandolo di avergli proposto la vendita, a prezzo di favore, di una partita di cappelli ‘Borsalino’, che aveva potuto accertare essere gli stessi da lui ordinati, tempo prima, in fabbrica e mai giunti a destinazione dopo la spedizione a mezzo ferrovia. Un’indicazione tanto circostanziata mise in sospetto la polizia barese e foggiana che preparò la trappola, nella quale RENATO G. cadde. Da quel momento le rivelazioni sensazionali non conobbero più sosta. Gli agenti, grazie ad esse, misero le mani anche sul pregiudicato foggiano PELLEGRINO C. che, messo alle strette, cominciò a fare i nomi di altri complici. Uno dei primi ad essere arrestato fu, a San Severo, il giovane LUIGI C., del quale nessuno avrebbe mai sospettato, perchè apparteneva ad una delle più ricche famiglie lucerine. Egli, con le sue dichiarazioni, portò poi all’arresto di alcuni ufficiali e sottufficiali dell’Esercito, di stanza a Foggia: i tenenti PIETRO T., GUIDO M., ANTONIO G. ed il maresciallo TOMMASO L.. Seguendo questa pista si giunse, poi, ad identificare il “basista” delle imprese truffaldine nella persona di un noto pregiudicato di San Severo, DOMENICO M.; mentre si scoprì che il “genio logistico” della banda era un certo SAVINO P., il quale coordinava tutti gli spostamenti delle merci fuori provincia. Un notevole contributo allo sviluppo delle indagini fu dato anche dai risultati delle perquisizioni: in casa di RENATO G. fu ritrovata l’ingente somma di 100.000 lire e un preziosissimo dossier, nel quale erano state meticolosamente annotate le indicazioni dei vari luoghi verso cui ogni tipo di merce era stata spedita. Fu, appunto, da questo documento che si apprese la notizia della vendita di un grosso quantitativo di benzina – si parlò (comprese le taniche) di circa 150 tonnellate – e di un altro di biada agli albanesi. Altre scoperte importanti vennero fatte nelle abitazioni degli altri arrestati. Alla fine furono associate alle carceri 19 PERSONE. Quasi tutti erano impiegati delle ferrovie, della pubblica amministrazione e ufficiali e sottufficiali dell’Esercito; i loro nomi: RENATO G., ferroviere; ARTURO G., ferroviere; PIETRO T., tenente dell’Esercito; LUIGI C., benestante; DOMENICO M., pregiudicato; TOMMASO L., maresciallo dell’Esercito; GUIDO M., tenente dell’Esercito; ADOLFO V.; ALFONSO C.; LUIGI D. R., chauffeur; CARLO C., ferroviere; PELLEGRINO C., ferroviere-pregiudicato; BIAGIO R.; ANTONIO G., tenente dell’Esercito; SALVATORE D. M.; COSTANTINO P., chauffeur; AGOSTINO R.; MICHELE C.; SAVINO P., mediatore di affari (illeciti!). Contro di loro fu emessa l’accusa di FURTO QUALIFICATO D’INGENTE VALORE e di ASSOCIAZIONE A DELINQUERE. Costoro, tuttavia, come emerse nel corso del processo, erano soltanto i “pesci piccoli”, perchè, commentava con amara ironia un cronista dell’epoca: “Qualcuno sta già godendo il fresco in Svizzera, visto che è sicuramente più delizioso di quello delle carceri di Lucera”. Purtroppo, in Italia e da queste parti, di vicende del genere, con la medesima trama e conclusione, se ne sarebbero verificate, col passare del tempo, molte (ma molte…) altre e con sempre maggiore frequenza. E DIO SOLO SA QUANDO (E SE) LA SERIE SI INTERROMPERÀ!