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Vasto: Rapito per 5 giorni – si riapre il processo per un sanseverese
La Procura appella la sentenza di assoluzione per due imputati accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione
VASTO. Amara sorpresa per Nicola Cortinove, 43 anni, di Vasto, residente a San Salvo, e Luigi Marinelli, un amico di San Severo di 30 anni, accusati nel 2015 di sequestro di persona a scopo di estorsione ai danni di F.B., oggi trentenne, di San Salvo. Li attende un nuovo processo. Un anno e mezzo fa i due accusati erano stati assolti per non aver commesso il fatto. La Procuradistrettuale, che aveva chiesto la condanna a 25 e 28 anni di carcere per i due, ha ottenuto il processo d’appello. L’udienza è stata fissata al 20 dicembre.
Una brutta storia quella che ha per protagonisti i due accusati, mai dimenticata a San Salvo. I due finirono nel mirino dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila. Secondo gli inquirenti, avrebbero costretto il giovane sansalvese a seguirli fino ad Apricena e lo avrebbero rinchiuso in un capannone dal quale, dopo cinque giorni, sarebbe riuscito a fuggire. Il 24 febbraio 2017 il sostituto procuratore distrettuale antimafia, Antonietta Picardi, chiese la condanna a 28 anni per Marinelli e a 25 per Cortinove. La difesa, rappresentata dagli avvocati Antonello Cerella e Giuseppe Casale, formulò, invece, la richiesta di assoluzione poi accolta.
In primo grado la vicenda fece registrare un’accesa istruttoria dibattimentale. Sia Cortinove e sia Marinelli hanno sempre negato le accuse parlando di racconti fantasiosi dell’operaio, ma la Procura insiste sul fatto che i due agirono al fine di procurarsi un ingiusto profitto. Gli imputati, secondo il racconto dell’operaio di San Salvo, avrebbero cercato di farsi consegnare da lui 8mila euro come pagamento per la cessione, avvenuta precedentemente, di sostanze stupefacenti. Secondo la Dia l’operaio sarebbe stato tenuto in ostaggio per 5 giorni, malmenato e minacciato ripetutamente di morte. Altre volte i presunti sequestratori avrebbero minacciato di morte i suoi familiari. L’operaio raccontò di essere stato prelevato sotto casa, privato dei documenti e costretto a salire in auto. Destinazione Puglia. L’operaio sarebbe stato chiuso in un capannone di Apricena, nel Foggiano, con mani e piedi legati con fascette di plastica. Un sacchetto di plastica infilato in bocca gli avrebbe impedito di chiedere aiuto. Durante i giorni del sequestro sarebbe stata minacciata anche la madre. Dopo cinque giorni di prigionia, l’operaio approfittando di un momento di distrazione dei suoi carcerieri, sarebbe riuscito a scappare e a chiedere aiuto ai carabinieri. I due vennero arrestati. «Fu una detenzione ingiusta», ripete l’avvocato Antonello Cerella, «subirono due anni di custodia cautelare ingiustamente come dimostrato in primo grado», afferma il legale che si prepara alla nuova battaglia.
Una brutta storia quella che ha per protagonisti i due accusati, mai dimenticata a San Salvo. I due finirono nel mirino dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila. Secondo gli inquirenti, avrebbero costretto il giovane sansalvese a seguirli fino ad Apricena e lo avrebbero rinchiuso in un capannone dal quale, dopo cinque giorni, sarebbe riuscito a fuggire. Il 24 febbraio 2017 il sostituto procuratore distrettuale antimafia, Antonietta Picardi, chiese la condanna a 28 anni per Marinelli e a 25 per Cortinove. La difesa, rappresentata dagli avvocati Antonello Cerella e Giuseppe Casale, formulò, invece, la richiesta di assoluzione poi accolta.
In primo grado la vicenda fece registrare un’accesa istruttoria dibattimentale. Sia Cortinove e sia Marinelli hanno sempre negato le accuse parlando di racconti fantasiosi dell’operaio, ma la Procura insiste sul fatto che i due agirono al fine di procurarsi un ingiusto profitto. Gli imputati, secondo il racconto dell’operaio di San Salvo, avrebbero cercato di farsi consegnare da lui 8mila euro come pagamento per la cessione, avvenuta precedentemente, di sostanze stupefacenti. Secondo la Dia l’operaio sarebbe stato tenuto in ostaggio per 5 giorni, malmenato e minacciato ripetutamente di morte. Altre volte i presunti sequestratori avrebbero minacciato di morte i suoi familiari. L’operaio raccontò di essere stato prelevato sotto casa, privato dei documenti e costretto a salire in auto. Destinazione Puglia. L’operaio sarebbe stato chiuso in un capannone di Apricena, nel Foggiano, con mani e piedi legati con fascette di plastica. Un sacchetto di plastica infilato in bocca gli avrebbe impedito di chiedere aiuto. Durante i giorni del sequestro sarebbe stata minacciata anche la madre. Dopo cinque giorni di prigionia, l’operaio approfittando di un momento di distrazione dei suoi carcerieri, sarebbe riuscito a scappare e a chiedere aiuto ai carabinieri. I due vennero arrestati. «Fu una detenzione ingiusta», ripete l’avvocato Antonello Cerella, «subirono due anni di custodia cautelare ingiustamente come dimostrato in primo grado», afferma il legale che si prepara alla nuova battaglia.
fonte ilcentro