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VIVERE SENZA MEMORIA: SI PUÒ?

RIFLESSIONI DI CULTURA SPORTIVA

di VANNI PELUSO CASSESE

 Scrivo questo articolo oggi 21 marzo. E’ la giornata dedicata alla memoria delle vittime della criminalità. Già il 27 gennaio si è celebrata quella in memoria dei martiri dell’olocausto. Ed il prossimo 9 maggio sarà il giorno della memoria in commemorazione dei caduti del terrorismo e delle stragi. Ma sicuramente, distribuite nel corso dell’anno, molte altre saranno le ricorrenze dedicate alla memoria. Vivere molto di memoria sembra proprio essere un anelito dell’uomo. Anche se B. GRACIAN, già nel ‘600, scriveva: saper dimenticare è una fortuna più che un’arte. Le cose che si vorrebbero dimenticare sono quelle di cui meglio ci si ricorda. La memoria non solo ha l’inciviltà di non sopperire al bisogno, ma anche l’impertinenza di capitare spesso a sproposito. Fin da bambino, a scuola l’insegnamento era in particolare teso a rinforzare la memoria, ero costretto ad imparare poesie, date, formule matematiche. Quanto ho odiato le tabelline! Erano un incubo. Ricordo che la tavola pitagorica era riportata sull’ultima pagina di ogni quaderno. Un’ossessione. Più tardi, durante gli studi universitari, mandar giù a memoria i nomi di ogni muscolo e delle ossa del corpo umano divenne un esercizio da togliermi il sonno. Ero costretto a veglie notturne, spesso in compagnia di colleghi di corso, per fissare nella memoria quei vocaboli. Poi, da docente all’Università, necessitato a seguire le continue acquisizioni della comunità scientifica in ambito degli studi legati all’attività sportiva, mi sono imbattuto in una scoperta sconvolgente. La memoria non trova sede solo nel cervello, ma anche nei muscoli. Da anni, presso l’Università di Harvard negli USA, le attività sportive sono osservate con massima attenzione, per dare risposte all’interrogativo di come il nostro sistema nervoso centrale riesce a gestire, ad esempio, l’esecuzione di una capovolta. Azione semplice, ma, di fatto, dal punto di vista motorio, altamente complessa. Come arriva un atleta alle massime prestazioni? In gran parte grazie alla capacità di automatizzare i movimenti. L’atleta agisce e si muove trasferendo la consapevolezza a funzione subalterna nei confronti, appunto, dell’automatismo. Ebbene i ricercatori sono giunti alla conclusione che i muscoli sono provvisti di una loro memoria autonoma che va ad inserirsi perfettamente nella rete nervosa. In tal modo alleggerendo il cervello dell’attenzione che dovrebbe usare nel compiere un movimento piuttosto complesso. Anche studi sulla propriocezione, quel complesso meccanismo deputato alla stabilità, all’equilibrio, al mantenimento della postura, confermano le suggestive teorie di una memoria localizzata perifericamente. Con O. PAZ possiamo dire che la memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda.

 

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