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Da San Severo a Milano, Rosanna Fratello: ecco la strada del successo

“Milano mi ha resa una donna sgamata”. Parola di Rosanna Fratello, signora della canzone italiana.

Sgamata? Ma che vuol dire?
Che mi ha aperto la mente. Mi ha

 

fatto capire come vanno le cose, ma soprattutto mi ha spinta a buttarmi nella mischia.  Partiamo dalle origini. Le sue sono pugliesi.

Sì, di San Severo, in provincia di Foggia. Mio padre che lavorava come operaio nei mulini in Puglia decise di trasferirsi a Milano con la famiglia quando avevo tre anni. Eravamo cinque figli. Lui trovò lavoro alla Breda e andammo ad abitare in via Cagliero.

Come ricorda la vita in quella strada?
Bellissima, ci conoscevamo tutti. Sembrava di abitare in un paese. Appena un po’ più grandicella adoravo fare passeggiate lungo la via che era piena di piccoli negozi. Ma come dico sempre, io sono nata cantando.

Prego?
Sì cantavo sempre. Era una passione divorante. Imitavo Rita Pavone, Mina, Aretha Franklin e la Callas.

La Callas?
Sì, mi sarebbe piaciuto diventare una cantante lirica. Avevo una voce da mezzosoprano molto estesa. Avrei potuto cantare Amneris e Carmen. Me lo diceva sempre il mio maestro. Ma una piccola soddisfazione me la sono tolta: incontrai la Callas di persona in un locale di Sanremo in cui cantavo. Dopo la mia esibizione, mi invitarono al suo tavolo. Lei era bella, altera, pettinata benissimo con i capelli raccolti. Era con il suo compagno di allora, il tenore Giuseppe Di Stefano. Appena sedute, il soprano mi fece i complimenti per la voce, disse che avevo “un bellissimo timbro, ero una bella ragazza e dovevo insistere nella carriera perché avevo personalità”.

Caspita che bell’augurio.
Intanto grazie a Milano avevo cominciato a farmi conoscere nel mondo della musica. Vinsi un concorso per voci nuove al Teatro Colosseo, dove ora c’è il cinema. Poi mi aggiudicai il primo posto alla “Reginetta della Canzone” del 1968, manifestazione presentata a Piacenza da Lara Saint Paul e Pippo Baudo che mi faceva una corte pazzesca.

E lei?
Io ero gentile e facevo finta di niente. Baudo diceva che gli piacevano le mie mani. A Milano poi conobbi anche Lucio Battisti. In quel periodo cantava “Un’avventura”. Eravamo in un teatro. Lucio era seduto dietro di me e con la bocca mi tirava i capelli. Sapesse l’imbarazzo. Ma reagii con una risata e la cosa finì lì.

Ma lei è sempre stata un’icona sexy.
Sì, in me vedevano la moglie, la fidanzata o l’amante. Quando posai nuda per Playboy nel 1981, ristamparono il numero tre volte. Mi ricordo che non potevo uscire di casa. Tanti uomini mi fermavano per strada per farmi i complimenti e invitarmi a cena. Una volta a Milano, in un negozio in centro, un americano mi chiese se volevo partire con lui per New York. Ma il bello doveva ancora venire.

Cioè?
Mi chiamava anche Lino Banfi per offrirmi i ruoli nelle sue commedie sexy. Io rifiutai e lui scelse la Fenech.

E la musica?
Il mio più grande successo è “Sono una donna non sono una santa”. Ma non volevo cantarla, fui convinta da Mara Maionchi che mi disse: “Se lei rifiuta è una pazza”. Il mio rimpianto è che non ho mai avuto una bella canzone. Sognavo di interpretare brani impegnati alla Edith Piaf.

Torna ancora in via Cagliero?
Sì per la Pasticceria La Martesana. Hanno preparato le torte per tutti i momenti importanti della mia famiglia compreso il matrimonio di mia figlia Guendalina. Ora abito a Como ma sto progettando di ritornare a vivere a Milano.

Il lavoro?
Un nuovo disco con pezzi di Don Backy e Sandro Giacobbe. E poi vorrei scrivere la mia autobiografia.


da Il Giorno

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