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IL VOTO “PLASTICO”

di FRANCESCO GIANNUBILO

Che nella nostra società, sempre più funzionalizzata e caratterizzata da uno spregiudicato relativismo, si sia oramai consolidata una morale, per dirla con il sociologo francese EMILE DURKEIM, diventata “plastica” e totalmente funzionalizzata al sociale, non vi è alcun dubbio; ma che anche la più pura, l’unica espressione reale della democrazia rappresentativa, cioè il VOTO che il popolo esprime nelle pubbliche occasioni di carattere elettivo/referendario, potesse pure esso diventare “PLASTICO”, era finora assolutamente inimmaginabile. Abbattuto politicamente, mediante una schiacciante maggioranza referendaria, il monstrum renziano, pagliaccio buffissimo inverniciato di democrazia, con tutta la sua frotta di cortigiani, maggiordomi, lacché e fedeli servitori, è accaduto in pochissimi giorni qualcosa di grottesco, ammantato da dovuto ossequio al dettato costituzionale, teso solo ad occultare l’anima truce di una bieca isteria “totalitaria”. Non si vuole in questa sede ricalcare schemi già doviziosamente esplicitati, in modo più o meno esaustivo, da tanti commentatori politici: necessità di discontinuità da una compagine di governo colpita dalla damnatio di un inappellabile netto giudizio liquidatorio, equivocità di fini di un governo inopinatamente risorto dalle ceneri della palude renziana, l’avvelenato ”sogno politico” di nuovi mistici tesi ad autoperpetuarsi, ecc., né si vuole ripercorrere “l’allucinato teorema” della disfatta democratica ad opera del toscano boiardo di Stato, in una sorta di paranoico, autoreferenziale solipsismo, sedotto da un “faustiano patto di immortalità” che, innalzandolo alla realtà di successi maligni, lo allontanava dalla esperienza comune. Si vuole trasferire, invece, la riflessione su un aspetto sottile della sostanza democratica, vale a dire l’inquadramento, il più corretto possibile, in una cornice politico-istituzionale, dell’operato del Capo dello Stato nella vicenda della riedizione del governo similrenziano. Ebbene, siamo sicuri che il Capo dello Stato, pur nel rispetto formale del dettato costituzionale, nel riproporre pedissequamente e con pieni poteri un esecutivo colpito dalla scure di un giudizio liquidatorio, non abbia violato un principio di correttezza politico-istituzionale, discendente da una sorta di “materialità costituzionale” determinatasi proprio a seguito del risultato referendario, e non abbia così attuato una surrettizia restaurazione di un entourage degno di essere relegato nella galleria dei moderni aspiranti becchini della democrazia nonché autori di politiche rovinose? Un nuovo tipo di COUP D’ETAT, dunque? Insomma, il consenso popolare è stato demolito da bugie e sotterfugi, in cui l’ascesa e la caduta renziana, da una parte, e il successivo COUP D’ETAT MATTARELLIANO, dall’altra, vanno considerate un ritaglio del “dramma” di questo Paese e un pezzo della “tragedia della sinistra”. Ma, che si sappia, nessuna democrazia liberale e rappresentativa può sopravvivere in mancanza di fides publica ovvero se non si può contare sulla fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. E’ un rischioso scivolamento, retorico e demagogico, verso il dogma dell’autoreferenzialità del “tiranno”, desideroso di essere legittimato dal suo popolo, dove l’omogeneità ideologica finisce per diventare una qualificazione virtuosa della società politica, in nome della quale la verità di coscienza merita di soccombere di fronte alla verità di fatto dell’opinione istituzionalizzata nel potere dominante. E se questi “nuovi” timonieri – l’uno, solo virtualmente demolito dal dissenso, l’altro, che ha “elasticizzato”, “duttilizzato”, reso “plastico” il voto popolare – non hanno avvertito alcun peso della limitazione esterna al sé politico, fondata anche sul momento etico, obnubilando così la coscienza critica dei cittadini, vuol dire che i volti satanici del nostro tempo sono sempre più vicini e presenti tra noi.

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