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LE MANDORLE SANSEVERESI

di MICHELE MONACO

Vorrei segnalare ai lettori un interessante aneddoto autobiografico del compiantoprof. NINO CASIGLIO, la cui indimenticatapersonalità- di altissimo livello culturale- è sempre motivo di orgoglio per la nostra Città. Nella prefazione del libro:“U caruselle: detti e proverbi dialettali sanseveresi” di CIRO PISTILLO, pubblicato nel lontano 1982, il prof.CASIGLIO raccontache in prima

 

elementare il suo compagno di banco gli offrì delle mandorle dicendogli: “Vu i’ mennëlë”?  Il professore non rispose, poiché, a suo dire, non conosceva affatto l’uso del dialetto e si rammaricò -tempo dopo-sia per aver esitato di fronte all’atto di generosità del compagno e sia di ignorare un mezzo di comunicazione così importante. Partiamo da questo significativoaneddoto per domandarci: oggi c’è ancora spazio- in un quadro sociale che passa velocemente dal locale al globale- per il caro vecchio dialetto? Penso che, nonostante i colpi infertigli dalla globalizzazione,anche linguistica, la ricchezza lessicale ed espressiva del dialetto conferisca all’individuo una coscienza profonda delle sue radici, in quanto non può pensare alla sua terra e alla sua infanzia se non con gli accenti della lingua dialettale che lo ha visto crescere e formarsi.In essa vi è un potente tessuto emotivo, affettivo, comunicativo ed espressivo. In questo senso hanno giovato le grandi esperienze linguistico-dialettali sia del teatro, sia di prosatori del Novecento, da DE FILIPPO a GADDA a PASOLINI sino al più re­cente CAMILLERI, e ha giovato la grande fioritura di poesie che si sono avvalse magistralmente dei dialetti come i poeti GUERRA, BUTTITTA, ZAVATTINI e ZANZOTTO.Il linguista TULLIO DE MAURO ribadisce, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il dialetto non si configura come codice dei ceti popolari, sintomatico di uno svantaggio sociale, ma viceversa come una tastiera di arricchimento espressivo. Conoscerlo è dunque un vantaggio.

 

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