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NON “FUCILATE” LE PAROLE!!! di Francesca Panacciulli

Parole: quante ne diciamo al giorno? Quante teniamo a mente per evitare di ferire molta gente? Eppure è curioso come la parola, le parole , sin da bambini non sono mai mancate. Facciamo alcuni passi in dietro di qualche secolo sino ad arrivare all’esistenza dell’uomo sulla terra; beh si può dire che se, obiettivamente, le parole cosi come le si conoscono oggi, non esistevano

 

ma, anche se c’erano una serie infinita di versi, l’uomo non ha mai smesso di aprir bocca di fronte al più piccolo fenomeno o davanti alla cosa più insignificante che ci fosse.

Con l’evoluzione, dai latini a Dante, Boccaccio e Petrarca (i pilastri della lingua italiana) in un percorso storico durato migliaia di anni , l’uomo è riuscito ad avvicinarsi alle parole in maniera graduale, imparandone un po’ alla volta dando vita ad un processo naturale che, alla fine, inizia con l’infanzia. Basti pensare ad un discorso tra adulti alla presenza di un bimbo di cinque anni: il suddetto alla prima parola strana inizierà, come consueto che sia, a fare domande sul significato di quest’ultima. E allora scatta il sorriso davanti all’ingenuità di un fanciullo che con occhi desiderosi aspetta una risposta.

Parole , una serie infinita che, dal nulla, da vita ad un discorso.

Nella Roma antica colui che sapeva parlare, creare un discorso  con un linguaggio eloquente,  davanti ad un pubblico, veniva chiamato oratore. La storia insegna che, in origine, l’arte oratoria veniva applicata solo dagli schiavi, dai liberti , e veniva considerata un’attività legata al tempo libero. Il primo a dare vita a questo genere letterario fu Appio Claudio Cieco. Dopo di lui ci furono molti altri grandi uomini che si resero conto dell’importanza dell’arte oratoria come per esempio Catone il Vecchio (con discorsi da uno stile semplice e conciso) o Cicerone (il più celebre oratore dell’antica Roma).

Con questa breve digressione si vuole intendere che l’uomo è sempre stato interessato all’arte del parlare e dunque alle parole stesse; esiste infatti una disciplina apposita, la filologia (dal greco philos: “amante” e logos: “parola, discorso”) che ne esprime, appunto, l’interesse per lo studio della parola.

A questo punto, però, nell’immaginario collettivo, suscita spontanea la domanda: “Oggi, come vengono usate queste parole?” E’ una domanda abbastanza lecita. Come si può osservare, semplicemente mettendo un piede fuori dalle case familiari, sui muri, le scritte portano parole che non hanno effettivamente senso logico. Al di la del gesto (che alla fine risulta essere solo un atto vandalico) , girarsi e trovar scritto “Tvttttb” oppure “Scs ma però ta” fa riflettere. Che la lingua italiana sia una delle lingue più difficili è risaputo ma rovinare delle parole in questo modo vuol dire proprio ucciderla! Questo è il frutto dei social network dove per pigrizia si usa “accorciare” le parole, che, alla fine, si ritrovano “accorciate” anche nei compiti di italiano.

Questo non è che un appello al buon senso degli italiani, in primo luogo ai giovani: è un peccato “fucilare” la lingua italiana, “squartare” parole che se pronunciate (ma soprattutto SCRITTE) nel modo giusto sono capaci d’incantare. Provate a fare un passo in dietro, provate a tornare bambini, provate a “guardare” con occhi curiosi ogni nuova parola. E innamoratevi, innamoratevi della spettacolare e mai obsoleta lingua italiana.

Francesca Panacciulli

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