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San Severo: 10 febbraio 1799. Dall’albero della libertà, “all’atroce catastrofe”

Ci sono avvenimenti storici che dividono le comunità, i popoli. Tanto vale per San Severo, che resta “divisa”, in un certo senso (tra filo spagnoli, “tradizionalisti”, borbonici; e filo francesi, napoleonici, “progressisti”), non su ciò che la storia racconta, ma su ciò che furono: “I fatti del 1799”. Si può tranquillamente parlare di guerra fratricida, consumatasi nelle mura della città che si stava affacciando al nuovo secolo. Il maestro in quiescenza, già assessore alla Cultura, Michele Monaco, ripropone il dibattito (“Per quanto mi riguarda – dichiara – se questa vicenda appassiona,

 

sarà un piacere ritornare sull’argomento”) e di “quei fatti” ne enuncia la sintesi: “Matteo Fraccacreta (1772-1857), storico e letterato, fu testimone e cronista di una delle pagine più tragiche della storia di San Severo. I fatti che descrive in un suo libro ruotano attorno ai seguenti tre giorni dell’anno 1799; 8 febbraio: i repubblicani innalzano in piazza della Trinità (oggi piazza della Repubblica) ‘L’albero della libertà’, emblema del nuovo governo cittadino; 10 febbraio: l’albero viene abbattuto dagli anti-repubblicani i quali si abbandonano ad una spietata caccia all’uomo, trucidando barbaramente tutti quelli che avevano ‘osato’ piantare l’albero. Fu un linciaggio in piena regola, con uno spietato accanimento sui corpi macellati e poi intombati nella buca dell’albero divelto. A questo orrore se ne aggiunse un altro – continua Monaco – Il 25 febbraio, un numero considerevole di soldati napoleonici agli ordini del generale Duhesme giungono da Napoli a San Severo (su sollecitazione delle famiglie dei repubblicani trucidati) e dopo il netto ed arrogante rifiuto di ottenere dalla municipalità i mandanti e gli esecutori della barbarie avvenuta in piazza, attaccano le postazioni armate della città. Dopo una violenta battaglia senza quartiere, si contano i caduti: 240 sanseveresi, altri 100 cittadini armati provenienti da paesi limitrofi ed un centinaio di soldati francesi. Insomma, nel breve volgere di qualche settimana, San Severo diventa un teatro di sangue e di odio dove si conta un totale di 450 morti”. Michele Monaco, conclude con dei quesiti: “Un’atroce catastrofe – la definisce lo storico Fraccacreta. Ora, alcune domande sono legittime: Di chi sono le responsabilità? Questa spargimento di sangue si poteva evitare? Chi ha acceso ‘il fuoco’? Sembrerà incredibile, ma ancora oggi, 216 anni dopo, il dibattito resta aperto, le ferite ancora non si sono cicatrizzate, pareri opposti si contrappongono, gli steccati non sono stati rimossi. Eppure qualche nobile tentativo di pacificazione vi è stato, ma tutto è rimasto sospeso”. Sull’argomento, così la presidente del centro culturale “Luigi Einaudi”, Rosa Nicoletta Tomasone: “Il 1799 era solo ieri. Il centro ‘Einaudi’, per non dimenticare, ha scritto nella lapide posta a testimonianza dei fatti, una pagina di storia che è alla base del nostro Risorgimento. Dedicata ai martiri che per un sogno di libertà, furono trucidati dai loro concittadini. Tra l’8 ed il 10 febbraio 1799 si consumò la tragedia. La lapide con i nomi dei martiri è in via dei Quaranta, una strada storica per San Severo, popolata da personaggi storici che si sono successi nel tempo. Dello scempio dei nostri martiri, infoibati per un ideale di libertà, diedi notizia all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, condividendo le implicazioni storiche e la memoria, mi sottolineava come fosse opportuno ‘il ricordo’ il giorno stesso degli accadimenti: il 10 febbraio. Con loro il nostro pensiero va ai Fiani di Torremaggiore, a Francesca De Carolis di San Marco in Lamis, alle 2 eroine Luisa Sanfelice ed Eleonora Pimentel ed a quanti hanno dato la vita per la libertà”. Questa, invece, la considerazione di Roberto Pasquandrea, medico, studioso e scrittore: “Per i sanseveresi ed i meridionali in genere, i francesi erano considerati invasori, rivoluzionari, predatori di opere d’arte, ed avevano la pessima reputazione di essere ‘senza Dio’. I giacobini, gli ‘illuminati’, prospettavano riforme contro l’assolutismo regio e la libertà. Erano ricchi, potenti, massoni, ed invisi dal popolo. Costoro, questi sanseveresi, avevano eretto ‘l’albero della libertà’ ed aspettavano le truppe francesi. I borbonici, tramite Antonietta De Nisi, ‘la scazzosa’, avevano messo in giro la voce che la Madonna del Soccorso, volevano metterla sotto l’albero. Ciò creò scompiglio ed il popolo cominciò a sparare contro i filo napoleonici. All’arrivo delle truppe francesi – conclude Pasquandrea – nei pressi dell’odierna chiesa di Croce Santa, le donne supplicarono di non razziare la città. Ma i soldati di Duhesme rubarono in tutte le chiese di San Severo, come riscatto, e non ebbero nessuna pietà. La città, si trovava e si trova divisa in due: i filo borbonici, ed i filo francesi”. I sanseveresi che hanno innalzato l’albero, furono uccisi e gettati nella fossa comune, che si era creata con lo sradicamento dell’albero stesso, senza processo. Chiusa con un enorme masso, sulla fossa passò la processione con la Madonna del Soccorso, si racconta. I francesi, entrati nella cattedrale, massacrarono i presenti mentre pregavano. Il loro sangue, arrivò fin sopra il sagrato, si racconta. Ma la storia anziché unire, divide: questo è evidente e non è il caso di raccontarlo.



Beniamino PASCALE

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