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1799: “I VISITATORI” DI FERDINANDO IV (1^ PARTE)

di GIUSEPPE CLEMENTE
Con la fine della Repubblica Napoletana del 1799 e il ritorno a Napoli di FERDINANDO IV ebbe inizio la feroce repressione borbonica. A Napoli imperversava la Giunta di Stato con il compito di scoprire e punire i partigiani della Repubblica. Numerosi furono i processi sommari, le condanne, anche alla pena capitale, e le confische dei beni. Nelle province si fece ricorso alla formazione di una nuova classe di funzionari, eufemisticamente chiamati i “VISITATORI”, i quali venivano inviati negli angoli più remoti del Regno per smascherare e castigare i rei di Stato, ossia coloro che avevano commesso atti contrari alla monarchia, e confiscare i loro beni. Erano assistiti da “assessori”, “inquisitori”, “assistenti fiscali”, “consegnatari”, uno stuolo di avidi collaboratori, tra i quali non mancavano «delatori prezzolati e preti o frati fanatici», da cui bisognava difendersi, che si arricchivano depredando e commettendo ogni specie di violenza. Dovunque si scatenò la caccia al giacobino e molti, pur essendo innocenti, vennero denunciati solamente per soddisfare meschine vendette personali. Per la provincia di Capitanata fu nominato visitatore generale mons. LUDOVICO LUDOVICI, vescovo di Policastro, che stabilì la sua residenza a Monte Sant’Angelo, già tristemente famoso per essere stato uno dei capi delle bande sanfediste. Tra le attribuzioni del visitatore c’era, però, anche quella di segnalare al re i nomi di coloro che erano rimasti sudditi fedeli per una eventuale ricompensa con sussidi o pensioni o anche con impieghi adeguati all’opera svolta al servizio della monarchia durante il periodo repubblicano. Numerosi furono cittadini di San Severo, Apricena e San Marco in Lamis che con la lusinga di una ricompensa o con la prospettiva di un risarcimento, si recarono dai notai, seguiti da una schiera spesso nutrita di testimoni, per redigere un atto pubblico, in cui venisse dichiarata la loro devozione alla causa monarchica. Si procurarono il prezioso documento i sudditi veramente fedeli al Borbone per allontanare da sé ogni ombra di dubbio, quelli che avevano subito danni al patrimonio o avevano perso le persone più care, ma soprattutto chi, giacobino pentito, aveva da temere più degli altri dai visitatori. Sono gli Atti pubblici, documenti di eccezionale importanza, nei quali i fatti appena narrati sembrano a prima vista stemperarsi, perdere quasi il loro intenso vigore drammatico nelle piccole, personali vicende di coloro che, comunque, restarono coinvolti, ma che in realtà ne escono rinvigoriti dalla notevole carica umana che sempre la storia della gente umile, “LA STORIA DEI SENZA STORIA”, reca ai grandi avvenimenti. Sono venti Atti pubblici da me trovati nei primi anni ‘80 nel Fondo notarile, II Serie della Sezione dell’Archivio di Stato di Lucera. Il primo porta la data del 14 aprile 1799 e l’ultimo quella del 25 agosto 1801, redatti nella gran parte a San Severo dai notai GIUSEPPE DE SANTIS (quattordici), CARLO DE DOMINICIS (due) e SAVINO COSTANZO e DOMENICO TONDI (uno ciascuno). I rimanenti due furono stesi ad Apricena dal notaio FELICE FRACCACRETA. == ((SEGUE)) ==

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