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SAN SEVERO – IL VALORE DEL LAVORO NELLA SOCIETA’ TERZIARIA E FINANZIARIA

Con l’avanzare del terziario e del modello finanziario l’idea di lavoro e del suo valore intrinseco è cambiata: legata all’antico mondo dell’arte e dei mestieri la prestazione lavorativa sembra perdere peso, sostituita dall’etica del “fare soldi”, anche in una cittadina come San Severo, storicamente a vocazione contadina ed artigiana.
In passato più di oggi imparare un mestiere era considerata una condizione che arricchiva la persona sempre e comunque, per la dignità, l’abilità acquisita e perchè prima o poi se ne sarebbe tratto beneficio e capitalizzato, all’insegna dell’adagio” Impara l’arte e mettila da parte”: il lavoro formava, istruiva e rendeva persone rette, fornendo una cultura di fondo, un intero mondo a cui si finiva con l’appartenere.
Un principio purtroppo sconfessato dalla dura realtà della disoccupazione dilagante e delle crisi economiche degli ultimi tempi, che dopo la fase espansiva dei decenni del dopoguerra hanno ridisegnato la società, divenuta inflazionata in ogni campo, e in cui difficile è trovare o crearsi spazi lavorativi, anche se preparati e titolati – l’ingresso in Europa, il cambio di moneta e lo strapotere delle banche sullo sfondo.
Si assiste così alla inutilità professionale persino dei diplomi di laurea, conquistati dopo tanti anni di studio, come alla svendita del lavoro, sempre più a buon mercato stando alla concorrenza tra disoccupati e alla crescita della povertà, che pongono le basi per una vera e propria guerra tra poveri.
Ma se il lavoro perde prestigio, se costa e vale poco, cosa acquista invece valore?
Senz’altro la capacità di fare soldi, di essere predisposti agli affari, al commercio, agli scambi, alla speculazione, venendo meno quell’idea di fatica e sacrificio che ha intessuto il credo, l’esempio e le vite di tanti.
Dall’altro lato, con la diffusione della scolarizzazione e dei titoli di studio si sviluppa la società del terziario, che punta sull’offerta di servizi qualificati, nell’idea di una crescita professionale e sociale da tanto attesa che solleva e riscatta finalmente la classe popolare dai lavori umili o usuranti. Ma siamo sicuri che c’abbiamo guadagnato?
A ben vedere oggi la maggior parte delle persone è divenuta consumatrice, essendo impreparata all’autoproduzione, una volta basilare per le famiglie contadine ed artigiane.
Non ci rimane che comperare tutto quello di cui abbiamo bisogno, non essendo capaci di autoprodurlo, con la conseguenza che aumenta la dipendenza dal denaro e quindi dal lavoro che non c’è. Un cane che si morde la coda, un cortocircuito in cui a rimetterci è la qualità della vita di tanti, di chi fatica a trovare una sistemazione, a fare casa, famiglia, e che magari sarà costretto ad emigrare, prefigurando delle “generazioni fantasma”.
Si arriva così all’idea dei redditi di povertà, con cui si garantisce a chi bisognoso il minimo per sopravvivere, senza reali possibilità di impiego. Provvedimenti che per quanto meritori non possono essere una soluzione: non si può sostituire il lavoro con un mero flusso monetario mensile e non si può scambiare la vita con la sopravvivenza.
Va ricordato che il lavoro è la prima forma di cultura, che dona formazione, crescita, integrazione sociale, benessere, dignità e civiltà alla persona e alla comunità, costituendo un mezzo di conoscenza, di creatività e di espressione di idee e capacità unico – chi vuole investire sulla cultura investa prima e soprattutto sul lavoro, d’impresa e dipendente: il modo migliore e più concreto per fare vera cultura.
Non ci rimane allora che guardare indietro. A volte il passato può aiutare a trovare delle soluzioni, a recuperare abilità, mestieri e tradizioni perdute che potrebbero ridarci parte di quella libertà che la società monetaria e del terziario ci ha tolto, riducendoci a meri consumatori, produttori, clienti, creditori, debitori, insomma a voci di bilancio, ignorando che prima di tutto siamo persone e che oltre al conto in banca abbiamo occhi per sognare, mani per costruire, sorrisi per sperare e un mondo da rifare…

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