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#IORESTOACASA

#iorestoacasa, il recente provvedimento governativo firmato dal premier Conte, ci impone misure restrittive a cui non eravamo abituati.

Sono rinunce che hanno carattere di urgenza e necessità e il cui rispetto potrà fare la differenza tra il danno contenuto e il collasso dichiarato della nostra cara Italia.

Ciascuno è chiamato singolarmente ad essere responsabile per arginare il più possibile il dilagare del virus che ha già messo in ginocchio le regioni del Nord e che minaccia l’intera Nazione, senza differenze geografiche.

Tutti dobbiamo orientarci verso un nuovo e differente uso dello spazio sociale e personale, nel rispetto e nella sicurezza reciproca.  Dobbiamo distanziarci gli uni dagli altri, interagire in modo tale che la distanza che normalmente poniamo nelle relazioni quotidiane non sia una scelta inconsapevole, ma pensata in modo direi quasi architettonico, costruendoci sopra la salvaguardia della nostra struttura sociale e della nostra stessa specie.

Ma qual è il senso più profondo di questa nuova prossemica a cui siamo chiamati?

Non si tratta semplicemente di distanziarci un metro. Né di chiuderci in noi stessi rinunciando a parlarci, a salutarci, a rispettarci, col pericolo di rendere abitudinario il gelo, l’allontanamento.

Si tratta piuttosto di rivedere alcuni comportamenti acquisiti e valutati come non pericolosi e ridimensionare la percezione dello spazio umano in un differente anche se alienante quadro culturale. Che tuttavia tornerà a cambiare, (se riusciremo ad essere assolutamente scrupolosi), salvandoci dall’ossessività e dalla paura.

Un lavoro di grande complessità in quanto la percezione spaziale che ognuno di noi ha di ciò che lo circonda e degli avvenimenti che accadono, è fortemente legata alla percezione smisurata del proprio ego.

Siamo portati a guardare al mondo solo e soltanto dal nostro punto di vista, presi da noi, dal nostro sentire umano, dalla nostra incredulità nei confronti dell’orrido, ma anche dalla esaltazione personale che ci fa percepire immuni ai flagelli, dall’arroganza di credere che per noi è tutto possibile, dall’illusione dell’invincibilità.

Come ci ricorda Camus, ne “La peste”, i flagelli non sono a misura d’uomo. Si è portati a credere che passino, invece spesso siamo costretti a vedere che a passare sono gli uomini, molti uomini…

Cosa fare allora? Come immaginare il nostro futuro, come agire per farlo accadere? Certamente non perdere la speranza è il primo importante passo, ma non può essere soltanto uno slogan da appendere alle finestre, sotto al disegno di un arcobaleno. “Andrà tutto bene” lo si può dire ai bambini. Ma siamo noi adulti a dover sostanziare queste belle parole con i comportamenti opportuni.

Innanzitutto dobbiamo capire che l’isolamento a cui siamo chiamati in questi giorni è paradossalmente una falsa solitudine: dobbiamo rispettare comportamenti comuni, restare forzatamente in compagnia dei familiari, guardare tutti insieme nella stessa direzione, condividere l’ansia del futuro, aspettare.

Ancora una volta rischiamo di rimanere legati alle nostre misure, alle nostre idee, alla nostra visione del domani. Mentre fuori qualcuno combatte e rischia la vita per noi…ma non sono soldati.

Cosa possiamo fare, allora? Ci invitano a cantare, a visitare i musei, a leggere i libri, ad essere creativi…un paradosso, in questo presente asfittico, in cui l’arte non riesce ad essere visionaria!

Allora possiamo solo fermarci.

Attingere a quella sorgente d’amore che sgorga dentro di noi e spostare l’attenzione dalla nostra centralità alla realtà che veramente ci circonda.

Dobbiamo capire il nostro tempo, aprire gli occhi sui valori veri che ci fondano, come la solidarietà, l’impegno, l’abnegazione, allungare lo sguardo oltre il nostro piccolo mondo, oltre le nostre fragili convinzioni, le nostre presunte velleità. Dobbiamo svincolarci dal semplice guardare e imparare a “Vedere”.

Solo attraverso una conoscenza non filtrata della realtà potremo cogliere le opportunità che la vita ci concede per essere chiamati uomini, capaci col nostro operato, col nostro sacrificio, con la nostra estrema dedizione, ad immaginare finalmente il futuro. Un futuro questa volta migliore!

                                                                                                     ANTONELLA CORNA

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