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CHIEUTI: GIORGIO MAGNOCAVALLO STORIA DI UN CALCIATORE CHIEUTINO CHE NESSUNO DIMENTICA

Chieuti: l’idea mi è venuta così per caso. Un mio carissimo amico mi manda delle foto del calcio nostrano di parecchi anni orsono. Tra queste c’erano delle foto di Giorgio Magnocavallo, chieutino di origine, nacque l’11 aprile 1957. Dopo appena un anno con papà Donato e mamma Maria nei primi anni settanta parte per il nord, approdando in Lombardia a Treviglio.

Fin da bambino è forte la passione per il pallone, tantissima la voglia di giocare e sognare un futuro da calciatore.

Difensore e centrocampista, inizia la sua carriera calcistica nel 1974 quando viene notato dall’Inter e con la “beneamata” gioca nella squadra primavera e esordisce in prima squadra in una partita di Coppa Italia, (Inter – Bologna 0 a 1 il 22 giugno 1975).

Inizia la gavetta con il Lecco, in Serie C, arrivando in B già a 19 anni, nel Varese, per poi giocare con Genoa, Triestina e soprattutto nell’Atalanta, con cui ha fatto il grande salto in Serie A, nel 1984. Totalizzando 119 presenze con otto gol all’attivo.

Anche Magnocavallo è nell’indimenticabile gruppo guidato da Eugenio Fascetti che, nonostante una penalizzazione di 9 punti (in un’epoca in cui la vittoria ne vale 2), riesce a salvare la Lazio dalla Serie C, dopo una drammatica serie di spareggi per la retrocessione. Il jolly bergamasco è in campo da titolare sia nella gara vinta all’ultima giornata con il Vicenza grazie a un gol di Fiorini che nel match decisivo contro il Campobasso, deciso da una rete di Poli. Poi Magnocavallo vola verso altri lidi, chiudendo la carriera con Barletta, Spal e Formia nel 1991, ma lasciando un bel ricordo tra i tifosi biancocelesti, legati per sempre alla “banda del meno 9” e a quel jolly con il baffo. Diventa poi allenatore nel Frosinone. Poi si dedica esclusivamente al settore giovanile dedicandosi ai ragazzi.

 Non lo sentivo da tanto tempo e quando mi ha risposto al telefono con la sua consueta gentilezza, abbiamo ripercorso le sue venute a Chieuti. “ora sono diversi anni che non torno, ma le mie radici sono rimaste lì. Ricordo sempre con piacere il mio paese d’origine, anche se ora sono rimasti alcuni cugini”.

Gli chiedo poi di darmi un giudizio del calcio attuale e dei settori giovanili. Mi dice: “che ti devo dire? Ora il calcio purtroppo non è più come una volta, quando con una stretta di mano ti legavi a una società, quando si onorava veramente la maglia che si indossava a prescindere dalla categoria. Ora si pensa di più agli affari, la maglia, i tifosi, la società passano in secondo piano. Il settore giovanile è cambiato in peggio, anche qui si pensa all’affare, a piazzare un giovane per un ritorno economico ma non si guarda alla sua crescita e i risultati si vedono poi quando dobbiamo competere con altre realtà molto più organizzate di noi. Hai visto quante difficoltà ci sono a livello di nazionali?”. Parole sacrosante e verità inconfutabili.

Ormai la nostra conversazione è diventata un fiume in piena, gli chiedo: “quali sono stati gli allenatori che ti sono rimasti nel cuore?” Lui: “tutti i mister che ho avuto la fortuna di conoscere mi hanno donato qualcosa di buono e mi hanno permesso di migliorarmi. Ricordo in particolare con affetto Ottavio Bianchi e Eugenio Fascetti, con loro ho potuto coronare la mia carriera, calcando i campi di calcio professionistici, incrociandomi con tantissimi fuoriclasse come Maradona, Platini, Altobelli e tanti altri”.

Poi mi racconta tanti aneddoti della sua carriera: ”la stagione 1986-’87 la ricorderò per sempre – racconta – ero capitano dell’Atalanta in Serie A e ho rischiato di scendere in C con la Lazio”. Già, perché? “Aveva più ambizioni”. Impossibile dire no ad un presidente speciale: “Mi chiamò Chinaglia in persona per convincermi. Aveva un grande entusiasmo e la Lazio sempre nel cuore; la sua passione l’ha rovinato». Sapeva come divertirsi Giorgio: Mi è sempre piaciuto fare gli scherzi”.

E giù risate. Poi la voce diventa seria: “avevamo paura di finire in Serie C. Le gambe non ci reggevano più, è stata un’annata difficile”. La rete di Poli con il Campobasso è stata la fine di un incubo: “una liberazione, come uno scudetto». Aria tesa prima della partita, una settimana che Magnocavallo ha vissuto lontano dai compagni: “Fascetti mi aveva dato il permesso per andare al corso allenatori”. Difficile pensare ad altro, però: non ero molto attento, la testa era agli spareggi”. Gruppo unito quella Lazio: “come una famiglia, quella era la nostra forza. In campo giocavamo sempre per la maglia, nessuno si tirava mai indietro». Individua un leader: Mimmo Caso: “la sera veniva nelle camere per caricarci”.

Mi ricordo quando Vincenzo D’Amico…» Poi ci ripensa: “questo non si può dire». Meglio cambiare: “davo appuntamento in un ristorante a 100 km, gli altri arrivavano ma in realtà il ristorante non esisteva». Il più permaloso? “Malgioglio. Era un po’ introverso, lo prendevamo in giro perché veniva dalla Roma”.

Una bella chiacchierata come due vecchi amici che si ritrovano al bar. Prima di salutarmi mi dice: “sicuramente ritornerò a Chieuti, anche perché lì ho i miei nonni che vado a trovare al cimitero, parenti e amici che ricordo sempre con affetto. Mi piace l’olio di Chieuti che Domenico (Palmieri) mi spedisce ogni anno. Sono uscito dal mondo del calcio dopo aver diretto per oltre vent’anni una scuola calcio. Ogni tanto ho frequentato gli studi di una televisione di Bergamo come commentatore.  Ora mi godo serenamente la famiglia e la pensione”.

Di colpo mentre siamo ai saluti, tutto il suo amore per la terra natìa emerge prepotentemente e mi chiede: “in che categoria gioca la “nostra squadra” del Chieuti? “In prima categoria”, rispondo, e lui: “benissimo un grosso in bocca al lupo a tutti e digli che li seguo”.

Ci salutiamo con la promessa di risentirci più spesso e magari di rivederci a Chieuti. Giorgio grazie per questa bella chiacchierata. Ne è valsa veramente la pena.

Giovanni Licursi

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