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È COSA NOBILE…IL SENSO DI APPARTENENZA

di VANNI PELUSO CASSESE
Indubitabilmente avrò già scritto sull’argomento. Sennonché, mi tocca leggere feroci critiche sui social – in esse ricorre spesso il termine VERGOGNA – dirette ai giocatori e ai vertici societari dell’attuale CESTISTICA, dopo l’ultima sconfitta subita in modo umiliante dalla squadra fuori casa. Val la pena, quindi, d’insistere sulla questione e, altresì, ampliarne l’analisi. Giacché, oggigiorno, negli sport di squadra, di questo argomento se ne fa un uso illogico. Ebbene, il ‘SENTIMENTO DI APPARTENENZA’ trova non pochi agganci con lo ‘spirito di squadra’. Questo una volta…emanava dalla maglia che si indossava, dai colori sociali, dalle ragioni di campanile. Su tali sentimenti si faceva leva affinché il gruppo avesse chiaro, all’ombra di una bandiera per la quale lottare, il senso della compattezza. Nel tempo affievolitisi certi valori, l’unità del gruppo è stata sollecitata utilizzando espedienti via via diversi, come: un ritmo musicale, un simbolo, un grido, un rito – vedi Nazionale di Rugby, gli All Blacks della Nuova Zelanda -, un motto grazie ai quali i componenti del gruppo si identificano sentendo vigoroso il senso di appartenenza ed avvertendo così un clima di forte coesione. Ma è essenzialmente il reciproco rispetto tra i giocatori e tra questi e l’allenatore e la dirigenza ciò che favorisce il clima di coesione capace di rendere la squadra un…monolito. Talché, sia idonea a sostenere con sicurezza le dure battaglie dello sport. Molte ricerche scientifiche, condotte nell’ambito di diverse discipline sportive, hanno evidenziato che vi è forte correlazione tra il sentimento d’appartenenza e, quindi, lo spirito di squadra e la qualità della prestazione collettiva. Tale sentimento non si eredita…si conquista. Con presenza, tempo e sacrificio. È una consapevolezza che s’instaura, perché si è vinto e si è perso indossando tutti la stessa maglia. Perché si è lottato per un…nobile blasone. Perché si è entrati da protagonista nella storia di un Club. Perché questa storia… la si sente addosso. E bisogna onorarla. Perché si è riso e si è pianto assieme. Perché i compagni di squadra sono venuti in mio soccorso al bisogno. Come io sono andato ad aiutarli in ogni circostanza. Perché si è creato quel feeling, quella sintonia tra componenti la squadra, staff tecnico, dirigenza e supporter che si fonda sul rispetto reciproco. Perché può capitarmi anche in qualche occasione di non rendere al meglio, e gli altri percepiscono che sono in difficoltà per un qualche motivo e non mi biasimano per questo. Perché c’è COMPRENSIONE RECIPROCA. Perché si è creato un clima di stima che va ben oltre la défaillance occasionale. E tutto questo, taluni pensano che si possa riuscire a creare in uno, due o solo tre mesi. Oh, no! Eccoci al punto nodale. Ma cosa si vuole dai giocatori del nostro tempo? Che abbiano lo stesso sentimento di coloro che nati e cresciuti nel paese del proprio Club sentivano la maglia una seconda pelle? So bene quanto il tifoso possa legarsi al giocatore, ma mentre il primo è fan della propria squadra per decine d’anni, l’altro è solo un partecipante transitorio delle vicende del Club. Mica ha vissuto le imprese straordinarie e gli insuccessi più tristi che sono le vere ragioni capaci di sugellare l’amore per i colori della propria squadra. E invece, i giocatori d’oggi, al contrario, cambiano team ogni anno e a volte anche nello stesso anno. Ecco perché lo sport di squadra oggi è privo di bandiere, se non quella opportunistica economica, e solo talvolta giusto così per onorare la propria…condizione di professionista. Avete mai sentito di allenatori che oggigiorno motivano i propri giocatori tirando in ballo l’attaccamento alla maglia? Una volta sì. E, poi, oggi è molto in uso l’esercizio di cambiarla sia nel modello che nell’abbinamento dei colori, ciclicamente. Tutt’al più qualche coach fa leva sulla storia gloriosa del Club. Quella no che non la si può cambiare. Il capitano della CESTISTICA, così come buona parte della squadra, una volta era di SAN SEVERO. Poi, la frenesia dei vari Club, dirigenti e allenatori, innescatasi anche per accontentare proprio i tifosi, ha spinto all’inserimento in squadra di giocatori dal rendimento superiore, per poter vincere di più. Giocatori d’altre zone geografiche che decidono di spostarsi dietro adeguato compenso. Ed allora diventa davvero difficile capire quei tifosi, quei dirigenti di Club che criticano i giocatori della propria squadra per l’attaccamento alla maglia che…non c’è. E già, perché è un sentimento che si instaura allorché si sono vissute per lungo tempo le vicende di un Club. Oppure, bisogna che coloro che sono preposti alla guida del Club sappiano ben…surrogare il nobile ‘SENSO DI APPARTENENZA’ con appropriati…segnali tendenti a far riflettere su: “attenti che questa maglia che ora…vi infilate è intrisa di storia gloriosa”.

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