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I CENTO ANNI DEL MONUMENTO AI CADUTI DI SAN SEVERO – 1^ PARTE

di GIUSEPPE CLEMENTE

Fu una giornata certamente irripetibile per San Severo quella del 30 settembre 1923, resa particolare dalla presenza di numerosi esponenti del governo, gerarchi locali e tanta gente giunta da tutta la regione. Non era ancora trascorso un anno da quando il fascismo aveva raggiunto il potere e il ricordo della Grande Guerra era ancora vivo e doloroso con i suoi strazianti lutti e le incalcolabili perdite. Centinaia di migliaia di giovani erano morti, molti dei quali avevano immolato i loro vent’anni senza nemmeno sapere per chi e per che cosa. Per la grandezza della Patria, si diceva, quindi, per il bene di tutti. Così il loro martirio divenne strumento dalla propaganda del regime e il culto dei Caduti divenne, appunto, «la sagra dei morti in guerra». Perché il rituale producesse gli effetti sperati, era importante che sorgessero monumenti di marmo o di bronzo nelle piazze al centro di ogni città o paese, nei grandi spazi e non in periferia, proprio per consentire alla popolazione di radunarsi per celebrare con coreografiche manifestazioni, e discorsi traboccanti di retorica chi, morto eroicamente, aveva raggiunto la “gloria eterna”. Nei primi mesi del 1921 a San Severo venne costituito Il Comitato per il Monumento ai Caduti, presidente MARIO SAVINO (gli altri componenti erano: CASCITELLI GIOVANNI, PORPORINO NICOLA, MILANO EDUARDO, FRASCA RAFFAELE, DAMIANI ITALO, D’ALFONSO MICHELE, COLIO EMILIO e PATISSI MICHELE), che prese «la nobile e patriottica iniziativa di far sorgere in questo Comune un monumento per onorare i generosi Figli di San Severo caduti per la grandezza d’Italia». Complesse furono le vicende che portarono al Monumento ai Caduti di Piazza Plebiscito. Il bozzetto di LUIGI SCHINGO non venne accettato e il progetto fu affidato «all’eccelso scultore di fama mondiale prof. AMLETO CATALDI». Vi furono contestazioni di vario genere, la più insidiosa, che agitò non poco la coscienza dei cittadini, riguardava «la indecente nudità della figura che il monumento presenta». I firmatari di un esposto al sottoprefetto, tra i quali c’era DON FELICE CANELLI, chiedevano di nascondere “la nudità con la tradizionale foglia di fico in bronzo». Ma le difficoltà vennero superate dalla grande capacità di mediazione del sindaco DONATO CURTOTTI e si giunse al giorno dell’inaugurazione. L’immagine della città cambiò. Una ordinanza del sindaco chiudeva dalle 5 alle 23 del 30 settembre le strade che doveva percorrere il corteo, anche «alle vacche e alle capre» e chiedeva ai cittadini «di addobbare con arazzi, coperte nuziali, bandiere, fiori, e, la sera, di illuminare i balconi e le finestre delle loro abitazioni». Giunsero a San Severo gli onorevoli EMILIO DE BONO, GIOVANNI MARCHI, CARLO BONARDI, GIUSEPPE CARADONNA e FRANCESCO GIUNTA con i loro seguiti, i prefetti di Foggia e di Bari e tante altre autorità provinciali e regionale del regime. Si formò un lungo e variegato corteo che dopo diverse soste, tra cui una per la Santa Messa davanti all’edificio scolastico “Principe Umberto”, inaugurato nell’aprile precedente, e una per un pranzo ristoratore, alle ore 16 giunse al monumento che fu scoperto al suono della Marcia Reale. La “sagra” era giunta al termine e CURTOTTI inviò due telegrammi: uno a MUSSOLINI e uno al RE, nei quali confermava l’avvenuta inaugurazione del monumento e ribadiva «l’incrollabile fede» nel Duce e «il sentimento di devozione» nel Sovrano, «primo soldato d’Italia», del popolo sanseverese.

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