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IL SIGNOR PEPERATO (video)

di Teresa Francone

Siamo fortunati ad essere “QUELLI DEL TERZO MILLENNIO”, ma sulle nostre spalle grava un pessimo rovescio della medaglia. Laddove ci siamo arricchiti con il progresso, di contro ci si è offuscata la memoria.

Quando si è immemori, in questa moderna società, con silenziosa disinvoltura, ci vengono somministrate dosi di lontane e tetre tradizioni, che pare rallegrerebbero i piccoli sotto il tacito consenso degli adulti, e che infestano come spettri la nostra, come se non fosse mai esistita.

Feste spaventosamente scarne di accattivanti storie e valorosi personaggi.

Feste orripilanti, scarne di viaggiatori temporali che diventano dei “RACCONTASTORIE”.

Il nostro viaggiatore   è il “SIGNOR PEPERATO”. Un viaggiatore che racconta di trovarsi, quasi sempre, tra accese dispute tra chi dice di possederel’originale ricetta  e chi invece ne detiene la paternità.  Nel suo diario di bordo si descrive dall’aspetto brunastro, dal profumo speziato e dal gusto proibito.

Le sue nobilissime origini partono dai tempi dell’Antica Roma. Racconta che i romani preferissero usarlo a fine pasto per sgrassare la bocca. Nel Medioevo, grazie alle preziose spezie portate dai mercanti provenienti dall’Oriente e dai pellegrini che le lasciavano come dono,  per l’ospitalità ricevuta nei monasteri, lo preparavano per gli alti prelati della Chiesa, ed infatti nel XIII secolo si racconta sia stato preparato, per la prima volta, un panpepato, per un pontefice. Nel 1680 in Capitanata l’abate Pacichelli lo definisce pane schiavonesco, che può costruire una buon dote per le fanciulle. Tra le carte del notaio Ferrandina, rogante a Vieste dal 1743 al 1788, fu trovatala ricetta del siddetto pane, oggi conservata nell’Archivio di Stato di Lucera.

L’affascinante ed intrigante sua storia, come vero e proprio “SIGNOR PEPERATO”, risale intorno al XV secolo, importato in Puglia da profughi albanesi. Le città di Monte Sant’Angelo, San Giovanni Rotondo e Trani divennero feudi del campione della resistenza albanese ed atleta di Cristo GIORGIO CASTRIOTA SCANDERBEG, per aver bloccato per decenni l’avanzata turca ottomana verso l’Europa e aver aiutato Ferdinando I contro il rivale Giovanni d’Angiò. Gli albanesi stabilitisi nella terra del Gargano, lo preparavano soprattutto di notte, tra riti e canti. Il nostro “PEPERATO” annovera di essersi diffuso in molti centri garganici divenendo simbolo dell’abbondanza. Divenuto dolce per il carnevale,  a Monte Sant’Angelo lo si metteva al braccio destro delle maschere,mentre  a Sannicandro infilato in una cordicella a tracolla, omaggiato da chi si era fatto visita. Altrove, dolce per festeggiare fidanzamenti, matrimoni, nascite e battesimi. A San Marco lo si offriva a seguito di un corteo ad opera della suocera, per l’acconciatura dei capelli della sposa prima del matrimonio. Il nostro “RACCONTASTORIE” parla di come nel tempo sia diventato il dolce preparato per il Natale, per la Pasqua e come per San Severo, dolce per  la festa di Ognissanti e la Commemorazione dei defunti. Alcuni anziani, raccontano, che si usasse apparecchiare la tavola di vivande per le anime dei morti e che esse, dopo essersi rifocillate per il ritorno nella valle del riposo eterno,riempissero, senza dar gran spavento, le calze dei piccini. Il “SIGNOR PEPERATO”, preparato in codesta occasione, si è sentito il suggellatore di questo magicocontatto tra i vivi e i morti. Inoltre, nel tempo,  in alcuni luoghi ha assunto una forma a modo del mostacciolo lasciando la primordiale forma d’abbraccio.

Un viandantedella  storia, che ha unito popoli, distribuito calore e tradizione. Perciò, cari lettori, non lasciatevi ammaliare da ciò che non ci appartiene, ma continuate a credere ed insegnare ai piccini chi sia quel“SIGNOR PEPERATO”che vien da lontano.

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