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La pace assente – la competizione sociale e i principi della guerra

Davanti ai fatti di guerra a cui stiamo assistendo e che rischiano di travolgerci sempre più ci si chiede perchè, come sia possibile tutto questo orrore, questa mostruosità?
Si apre così un’indagine che non può riguardare solo le istituzioni, gli eserciti e le logiche militari, ma che deve giungere all’uomo, perchè dall’uomo tutto nasce.
Se il mondo non cambia, se la storia è un ripetersi ciclico degli stessi eventi, fino a giungere al fallimento di ogni idea e civiltà, è perchè l’uomo in fondo non è mai cambiato.
La nostra società punta sull’evouzione economica, tecnologica, scientifica, medica, ma l’evoluzione più importante, quella umana, spirituale, che finirebbe per partorire nuove coscienze ed un essere umano realmente evoluto, quella evoluzione manca o non è ancora abbastanza coltivata e diffusa.
La guerra, da cui ci crediamo lontani perchè convinti di vivere in pace, è invece insita nel nostro stile di vita, altamente competitivo: il conflitto è quotidiano e si respira nell’aria. Una competizione dettata sia da una cultura che ne fa un valore, sia dalla diversa ed iniqua distribuzione di risorse ed opportunità che caratterizza la nostra “gabbia sociale”.
Anche solo alla luce di questo, siamo sicuri di essere così estranei alle dinamiche e ai disvalori che portano a concepire prima e a realizzare poi una guerra? Nel proprio piccolo ognuno di noi non combatte una guerra? Ognuno di noi non applica in scala ridotta le stesse logiche e principi dello scontro, che alla fine diventeranno istituzione e politica?
E’ quindi arrivata l’ora di riconoscere che c’è bisogno di una spinta evolutiva superiore a quella che l’economia e la tecnologia possono permetterci.
Viviamo in una società che si avvia ad una digitalizzazione sempre maggiore, venduta come efficienza (e che invece è iniqua e schiavizzante), e proprio questo sistema si ritrova ora davanti al suo fallimento più grande, sperimentando come l’intelligenza senza il bilanciamento dell’amore può produrre tecnologia ma non civiltà.
Mettersi in discussione, chiedersi quanto inconsapevolmente partecipiamo alle logiche del conflitto, quanto coltiviamo la competizione, l’invidia, la calunnia, l’egoismo, il privilegio, l’opportunismo, e per contro quanto sono presenti nella nostra vita la gentilezza, l’incontro, l’ascolto, la solidarietà e il rispetto dell’altro, l’umanità in tutte le sue forme, sarà certo utile per sollecitare il cambiamento necessario.
Grandi mezzi di pacificazione sono le arti, il rapporto con la bellezza, la natura, la spiritualità, la contemplazione, il silenzio, le relazioni sane: forse coltivarli di più non sarebbe sbagliato.
Se nessuno si salva da solo, allora nessuno è privo di responsabilità per il mondo che abbiamo contribuito a creare.

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