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“LE POVERE DONZELLE” DI SAN SEVERO

di GIUSEPPE CLEMENTE

Le ricordo ancora passare davanti casa mia per due, mano nella mano, con i grembiuli celesti, accompagnate dalle suore “cappellone”. Le più piccole aprivano la fila e le “anziane” la chiudevano. Erano le orfanelle che nel tardo pomeriggio d’estate facevano la quotidiana passeggiata verso “l’aria fine”, all’inizio della strada che porta a Torremaggiore. E le vedevo spesso anche quando seguivano il feretro nei funerali. Oggi gli orfanotrofi non ci sono più, ma restano “i luoghi della memoria”, che per tanti anni li hanno ospitati. Quando l’orfanotrofio venne istituito nel 1803 dal vescovo GIOVANNI GAETANO DEL MUSCIO, “le povere donzelle” erano diciotto e vivevano in un fatiscente locale dell’ospedale (quello vecchio di S. Antonio Abate), affidate alle cure del canonico VINCENZO LACCI, che le manteneva grazie alle offerte di alcuni facoltosi proprietari di San Severo. Sistemazione anche a quei tempi inaccettabile; bisognava trovare locali più idonei. L’occasione buona sembrò giungere con la soppressione del convento dei Conventuali di San Francesco, che però appena chiuso (il 7 agosto 1809) fu in parte fatto occupare dal sindaco CESARE DI LEMBO che vi stabilì gli uffici della cancelleria, dello stato civile, dell’agente ripartitore del demanio e del decurionato. Dopo le numerose e vibrate preteste giunte all’intendente, un decreto di MURAT del 20 novembre 1809 stabilì che l’edificio accogliesse l’orfanotrofio cittadino e impose al sindaco e al decurionato di procurare i “mezzi per la riattazione e la riduzione del convento all’uso di orfanotrofio”. Nonostante le precarie condizioni economiche del comune, il decurionato nella riunione del 4 dicembre successivo deliberò di contribuire alle spese con soli ducati trenta e nominò una commissione formate da quattro “gentiluomini” e dai quattro parroci che, girando per la città raccogliesse “l’oblazione de’ cittadini” per le riparazioni necessarie. Per accogliere l’orfanotrofio si rese necessaria solamente la costruzione di un muro per chiudere l’accesso “in parte sospetta”, cioè alla zona pericolante del fabbricato e i lavori durarono appena due giorni. Vennero rinviate a “miglior tempo” le spese per “le gelosie” alle finestre e ai balconi. Era intenzione del nuovo sindaco MATTEO FRACCACRETA dare al più presto possibile una degna sistemazione alle orfane della città, perché, come scrisse, “fa pietà il lezzo e l’angustia in cui sono negli odierni tuguri più che abitazioni”. Il 2 febbraio 1810, giorno in cui si festeggiava il ritorno di MURAT nella capitale dal viaggio in Calabria, dopo il Te Deum, la processione e l’estrazione di venti maritaggi, le orfane di San Severo entrarono solennemente in San Francesco e in quella circostanza il sindaco chiese all’intendente che la chiesa del convento restasse aperta al culto e fosse annessa all’orfanotrofio. Inizialmente furono trenta le orfane che trovarono nell’ex monastero spazio a sufficienza “tanto per vivere, quanto per dar luogo a’ telai e ad altri ordigni di fatica” e il loro numero, in una cittadina di oltre sedici mila abitanti, era destinato subito ad aumentare. Dopo pochissimo tempo, infatti, “infinite” furono le richieste di orfane che desideravano entrare a San Francesco e ciò pose all’Amministrazione comunale il problema “di assicurare i mezzi per la comoda sussistenza” alle orfane E, “per allontanare la malversazione” fu deciso di costituire una commissione composta del sindaco pro tempore, dal direttore dell’orfanotrofio, da tre decurioni e tre altri “probi” cittadini da eleggersi ogni due anni. L’orfanotrofio cittadino sopravvisse fino al 2006, quando venne chiuso per la legge 149 del 2000.

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