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UNA LEGGENDA DI POLITICA NOSTRANA

C’era una volta un bellissimo paese in pianura, con inverni miti ed estati assolate, pieno di alberi e parchi dove poter godere delle fresche ombre, immerse nel verde più luminoso che si possa immaginare. La gente che lo abitava, purché divisa in clan, sottoclan, parentadi e famiglie allargate, era felice; la vita procedeva placida, alternando generazioni particolarmente prospere ad altre dove prevaleva la bonaccia, intervallate anche da lustri di pura recessione. Il popolo era umile, si accontentava di ciò che poteva avere, ma era sempre sorridente ed orgoglioso di se stesso, poichè figlio di cotanta madre di sì rara bellezza. Avvenne però un giorno, che nel mercato del paese, arrivasse un forestiero, che esposte le sue merci, poneva un cartello con scritto “Tutti i prezzi sono maggiorati del 50% per la tassa dovuta a sua maestà, il Re”. Naturalmente curiosi, i cittadini si fermarono, interrogandosi chi fosse questo Re, dato che loro, vivendo in un paese libero, non ne avevano mai sentito parlare. “Ma chi caspt anna iess stu Re ca c frech a metà di sold?”, accennavano timidamente. Il mercante, buon uomo, con sorriso paterno, rispose che si trattava del capo del villaggio di montagna dal quale veniva, vicino al paese di pianura dove era venuto  a vendere i prodotti. Il Re, continuò il mercante, lo scegliamo noi cittadini di montagna, in base all’onestà, alla saggezza, alle capacità e all’amore che prova per il nostro villaggio: così viene pagato da tutti noi montanari, per rappresentarci con gli altri Re e fare gli interessi del villaggio. Il popolo della pianura andò subito in fibrillazione, volendo anche loro eleggere il loro Re della pianura. Subito il paese si divise nei gialli, con a capo una bionda irruente ed ambiziosa, nei viola che proponevano Re una dolce ragazza rappresentante del parentado, nei blu, nei rossi e nei grigi, ognuno con a capo uomini di un certo carisma. Cercarono di mettersi d’accordo con vari metodi, varie prove: chi sputava più lontano, i 100 metri, tiro alla fune, chi rideva per primo se si guardavano negli occhi eccetera, ma invece che appianare le divergenze il clima si faceva sempre più teso, con i partecipanti che diventavano sempre più nervosi, venendo spesso alle mani. Intanto per queste lotte interne, tutte le attività si erano interrotte,  il commerciante non commerciava, l’analista non analizzava, il costruttore non costruiva, il ragioniere non ragionava, e nemmeno gli altri in verità. Passarono settimane, addirittura mesi, impegnati in una guerra civile che non lasciò pietra su pietra, costringendo molti a partire verso altre città, pur di sfuggire alle miserie quotidiane del paese di pianura. Finché un giorno, su un cavallo rosso, ma con uno scudo crociato, arrivò il Re del villaggio di montagna, con il mercante come suo fedele paggio, che si impossessò del paese di pianura in un battibaleno, tanto il popolo era stanco di quelle lotte che qualcuno persino applaudì. E fu così che, dimenticando che il Re deve essere il migliore dei contendenti, e non il più furbo e prepotente, il paese di pianura dovette sopportare di essere governato dal Re del villaggio di montagna, non meritando infatti né libertà né prosperità.                                                                          E vissero tutti felici e montanari.

Stanislao Savino

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