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Nuovi farmaci: ricerca, prevenzione e cura – intervista a Enrique Hausermann e Massimo Carella

Il ricorso all’uso di farmaci generici in Italia, secondo le ultime statistiche, è in lieve crescita, ma ancora fortemente dipendente dalla scadenza dei brevetti, nonostante una legge abbia tentato di incentivarne il mercato. Quale lo stato dell’arte attuale? La situazione attuale del mercato dei farmaci equivalenti è in lento progresso: le scadenze brevettuali hanno superato in Italia il ‘picco’ nel periodo fra il 2005 e il 2009, quindi la crescita è inevitabilmente rallentata. Sempre più cittadini utilizzano e si fidano del farmaco equivalente, ma abbiamo ancora tanta strada da fare: oggi sul totale delle confezioni di farmaci rimborsati, gli equivalenti rappresentano poco più del 25% (Dati Assogenerici 2014), ben lontano dagli altri Paesi europei, in cui la media dei farmaci generici raggiunge il 50%.

Quali sono i nodi da sciogliere e le criticità che non consentono all’Italia di mettersi in pari con altri Paesi europei? Le cause sono molteplici e spesso legate tra di loro. Il farmaco equivalente è nato sotto un alone di diffidenza nel nostro Paese, principalmente perché al suo ingresso nel mercato non ha fatto da cornice un adeguato impianto informativo nei confronti di medici e operatori sanitari (e da loro verso i pazienti), che avrebbe dovuto supportare e rassicurare il paziente sulla parità di qualità, sicurezza ed efficacia dei farmaci equivalenti rispetto ai corrispettivi farmaci di marca. A causa di un livello di informazione parziale o scorretto, si è erroneamente diffusa la percezione che al prezzo più basso corrispondesse una qualità inferiore dei farmaci; ma la salute è un tema sul quale il cittadino non sceglie per ragioni economiche: da qui la diffidenza. Più recentemente abbiamo assistito a un incremento di consapevolezza: le campagne informative lanciate negli ultimi anni e l’esperienza diretta di utilizzo dei farmaci equivalenti hanno creato un clima di maggiore fiducia. Certo, resta un dato: nel 2014 gli italiani hanno speso di tasca loro 939 milioni di euro per coprire la differenza tra quanto rimborsato dal SSN al prezzo di riferimento e il corrispondente farmaco di marca.

Lo stato dell’arte attuale in che modo potrà essere proiettato in una prospettiva di crescita per il Paese Italia, lì dove ricorrere ai farmaci generici ha prodotto una sensibile riduzione della spesa sanitaria? Lo studio di Nomisma, ‘Il sistema dei farmaci generici in Italia Scenari per una crescita sostenibile’, ha messo in luce altri aspetti relativi al comparto dei farmaci generici, sia sul versante della spesa pubblica sia nell’ottica del risparmio privato. Sul primo versante, il valore dei farmaci di classe A che andranno a scadenza tra il 2015 e il 2020 è di oltre 1,7 miliardi di euro. Secondo il trend storico, a un anno dalla scadenza dei brevetti, la riduzione media del prezzo unitario del generico rispetto al prezzo unitario del farmaco prima della scadenza brevettuale si attesta attorno al 60%: le simulazioni effettuate nello studio mostrano che il risparmio pubblico che potrà essere conseguito nello stesso periodo semplicemente grazie al processo di generazione sarà di oltre 1,1 miliardi di euro tra 2015 e 2020. Stesso tipo di effetto si ottiene sul fronte dei risparmi privati: con un’altra simulazione, Nomisma ha rilevato quanto i cittadini possano realmente risparmiare sostituendo il farmaco originato con il rispettivo generico al prezzo più basso, tenendo conto che attualmente il Sistema Sanitario Nazionale rimborsa solo i farmaci in Classe A al prezzo più basso disponibile, e nel caso in cui il farmaco acquistato abbia un prezzo superiore a quello di riferimento, la restante quota viene pagata dal cittadino. Nel 2013 il risultato ammonta a 900 milioni, includendo anche i farmaci di Classe C, tra i quali i generici sono ancora poco diffusi e i possibili margini di risparmio ancora più elevati. Se i pazienti sostituissero tutti i farmaci utilizzati con i rispettivi generici al prezzo più basso sarebbe possibile ottenere oltre 1,4 miliardi di euro di risparmi privati, a parità di confezioni vendute. Risparmi che si tramuterebbero innanzitutto in un incremento di reddito -perché non provengono da una riduzione dei consumi, ma dal costo inferiore al quale un fabbisogno viene soddisfatto- e in seconda battuta, secondo stime sulla propensione al consumo effettuate dalla Banca d’Italia, in un incremento di consumi in altri settori economici di circa 700 milioni di euro.   Sviluppi concreti si sono registrati sul versante della farmacogenomica e dei farmaci biomolecolari. In particolare, una strada percorribile si è aperta con la ricerca sulle cellule staminali embrionali e non embrionali. La vasta gamma di cellule e tessuti, insieme alle loro interazioni che le cellule staminali possono ‘mimare’, ha reso possibile testare farmaci per sicurezza ed efficacia su specie animali per poi, passare, in alcuni casi, alla successiva fase di sperimentazione clinica sull’uomo. Per saggiare alcuni risultati e progressi in questo campo, abbiamo sentito Massimo Carella, biologo ricercatore, responsabile del laboratorio di Genetica medica presso l’istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) ‘Casa Sollievo della Sofferenza’ a San Giovanni Rotondo (Foggia), oltre che collaboratore della Direzione scientifica guidata dal Professore Angelo Luigi Vescovi.

In tema di farmaci biologici, e di terapia cellulare, è stato inaugurato da poco a San Giovanni Rotondo un nuovo istituto di Medicina rigenerativa, che ha goduto di un finanziamento ministeriale da 14 milioni di euro, chiamato ISBReMIT. Cosa può dirci? A breve sarà possibile produrre delle cellule staminali neurali di grado clinico, ovvero cellule neurali in grado di essere utilizzate per la terapia del paziente. Le patologie inizialmente prese in considerazione sono state quelle neurodegenerative responsabili della compromissione del sistema nervoso. Questo è stato reso possibile grazie all’ampia esperienza del Professore Angelo Vescovi. Il 29 settembre scorso sono stati presentati a Roma i risultati della Fase I per la cura della SLA (Sclerosi laterale amiotrofica), utilizzando cellule staminali. Fase I significa vedere in questi pazienti, che non hanno altre prospettive di terapia, se l’iniezione delle cellule staminali può arrecare o meno un danno. Accertato che questa terapia non è tossica, né arreca danno, si può passare alla Fase II per cominciare a vedere se la cura produce degli effetti. Lo stesso processo terapico è approvato dall’Agenzia del farmaco italiana (AIFA), ed è l’unico accreditato ad utilizzare cellule staminali, obbligato a rispettare determinati canoni. Tutto risulta completamente certificato, e tutti i protocolli risultano essere depositati. Di conseguenza, così come per un qualsiasi nuovo farmaco, anche le cellule staminali debbono rispettare tutte le fasi previste di un protocollo terapeutico. A oggi, gli unici risultati che sono stati valutati sono la non tossicità, e il non arrecare danno nell’iniezione delle cellule, perché la stessa modalità di iniezione è innovativa

Ma quanto tempo è stato necessario per raggiungere la sperimentazione umana di fase I? Come detto da Vescovi a margine dell’ultima conferenza, ha dovuto superare una serie di ostacoli. Innanzitutto va sottolineato che queste cellule staminali non sono di tipo embrionali, ma si tratta di staminali derivate da aborti spontanei. Viene preso un piccolo pezzo di cervello di un aborto spontaneo non indotto e, attraverso metodiche tutte italiane, con la messa a punto di opportuni protocolli, si ricavano cellule staminali neurali, ovvero in grado di differenziarsi in tutti i vari tipi di cellule del sistema nervoso. Si consideri che è necessario un solo donatore per curare più pazienti. E questa è un’altra caratteristica che rende unico lo studio. A differenza di altri casi, in questo, al contrario, non vi è bisogno di tanti donatori per poter mettere a punto la terapia. Inoltre esiste la possibilità di inviare le stesse cellule ad altri gruppi di ricerca che intendono utilizzarle per altri fini di ricerca per nuovi terapeutici. In questo senso, già ci sono giunte richieste di ordinativi dagli Stati Uniti. La Fase II, più nello specifico prevede un aumento del numero dei pazienti. Si passa dai 18 della Fase I ai circa 80 della II. Le tempistiche di conclusione di ricerca e sperimentazione insieme dipendono da quelli che sono gli iter burocratici da rispettare. Si premette che è uno studio fatto dalla fondazione Revert Onlus, e Fondazione Cellule Staminali. Non c’è una industria dietro. Questo lo rende ‘particolare’ proprio perché ‘libero’. Ad oggi tutte le richieste vengono fatte in regime di collaborazione scientifica. Vuol dire, che tutti i risultati attualmente sono pubblicati su riviste scientifiche. Allo stesso modo per pubblicare uno studio è necessario passare prima attraverso dei revisori. In sostanza, la pubblicazione del dato viene ipercontrollato prima di essere pubblicato. Nello specifico non siamo costituiti come un’azienda ‘Biotech’, bensì tutto quello che produciamo viene messo a disposizione della ‘Comunità scientifica’.

Ma in caso di successo quali potrebbero essere le possibili ricadute di breve e lungo periodo? Una ricaduta d’immagine per il Paese, ad esempio, se la terapia funzionasse. Altre ricadute potrebbero riguardare la crescita di nuove figure professionali, e quindi in termini di occupazione. Grazie ad un finanziamento PON, quest’anno nel nostro Istituto abbiamo formato 6 persone per la lavorazione di questo. Va precisato, inoltre, che per questo tipo di farmaci siamo ancora in una fase iniziale . Al di là delle problematiche legate alla produzione, e alle problematiche nel convincere la Comunità scientifica, che si potevano produrre cellule staminali adulte, e non solo embrionali, e che potevano essere iniettate nell’uomo, grazie alla caparbietà di Angelo Vescovi si è riusciti a raggiungere traguardi importanti. Sono stati richiesti anche dei finanziamenti privati. Ed è importante che anche i privati abbiano creduto in questo tipo di studio. Attraverso il nostro ospedale, in particolare, e a diverse pubblicazioni si stanno definendo test diagnostici sul DNA. Si tratta di test genetici che permettono di valutare l’appropriatezza dell’utilizzo di un farmaco in sostituzione ad un altro, onde evitare che si facciano dei cicli a vuoto in cui non si ha la risposta . Si potrebbe definire addirittura la dose del farmaco da applicare. Su questo piano, si mantiene centrale e costante l’attenzione e il lavoro profuso sul piano della prevenzione. Attraverso il centro di genetica medica, con il supporto di un servizio di consulenza è possibile può condurre ‘test predittivi’. Si può prevedere lo sviluppo di una patologia. Ma molto spesso trovandoci di fronte a patologie genetiche rare, difficilmente possiamo avere quella viene definita cura risolutiva. La prevenzione, in realtà, la si fa conoscendo chi è portatore di una mutazione, e conoscendola possiamo ‘predire’ il rischio di avere una persona affetta da una determinata patologia. In presenza di fattori genetici e non genetici l’esito di un test predittivo può consigliare dei controlli più frequenti. Ma non si è in grado di debellare completamente la patologia. Quindi nel complesso possiamo calcolare un aumentato rischio, ma non possiamo predire. Si possono sviluppare nuovi farmaci per le neoplasie conoscendo qual è l’eziologia molecolare, e i meccanismi alterati all’interno del processo di sviluppo della patologia. Risulta anche possibile riutilizzare farmaci già in commercio capaci di intervenire su ‘pattern’ molecolari alterati. In sintesi, esistono sia nuovi farmaci utilizzati di recente per la cura di tumori, sia farmaci prescritti dopo aver conosciuto l’eziologia molecolare della malattia attraverso rilevazione di mutazioni nel DNA, o di proteine alterate. Ma non abbiamo conoscenze così ampie e tali da eliminare la patologia. Possiamo rallentarne il decorso, migliorare la prospettiva, e qualità della vita, tenuto conto, che in alternativa restano interventi classici sono: asportazione del tumore, chemioterapia e radioterapia.

Ines Macchiarola

“Pubblicato in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato dall’Autore per gentile concessione”. Link al servizio: http://www.lindro.it/nuovi-farmaci-ricerca-prevenzione-e-cura/

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