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San Severo: LA STRADA DELLE TRE CHIESE

Negli interminabili pomeriggi estivi i ragazzi del quartiere si riunivano sulle scale di un palazzo settecentesco abbandonato da anni da vecchi proprietari terrieri che si erano ritirati in quel di Napoli. Tra quei ragazzi, nati e cresciuti nel centro storico di San Severo, ve ne erano due provenienti dal Veneto. Tutti erano convinti che fossero degli slavi, invece erano italiani e la loro famiglia aveva dovuto lasciare la città di Pola per una legge che aveva stabilito che quella città non era più terra italiana. Furono imbarcati nel 1947 su una nave nel porto di Trieste e spediti in Puglia. Si seppe solo dopo tanto tempo che erano dei profughi di guerra. Nelle calde giornate agostane del 1958 non si badava da dove venivi, si badava ad organizzare interminabili partite di calcio usando come porte gli ingressi di alcune abitazioni munite di resistenti battenti di ferro e una strada poco trafficata. CIRO, il ragazzo più rispettato dal gruppo, svolgeva le mansioni di arbitro con un fischietto da ferroviere. Un fischietto nuovo di zecca che gli era stato regalato da un vecchio capo-stazione che abitava vicino casa sua e che gli aveva trasmesso la passione per il lavoro nelle ferrovie dello Stato. CIRO abitava in un sottano tra via Roma e via Soccorso, a pochi passi dalla Chiesa di Sant’Agostino, di Sant’Antonio Abate e della Cattedrale. Un triangolo di campanili, di santi, di madonne, di incensi e di chierichetti. La sua famiglia era conosciuta e molto stimata in un microcosmo di tante famiglie che avevano vissuto con dignità e solidarietà le numerose difficoltà del dopoguerra. Famiglie che sembravano uscite dai <<Malavoglia>> di VERGA, la famiglia di Acitrezza che Padron ‘TONI voleva “unita come le dita di una mano”. La passione di CIRO – era nota – era quella e solo quella, sin dalla sua adolescenza: inforcare una bicicletta, munirsi di un registratore a cassetta e recarsi nelle campagne per una ricerca della tradizione orale dialettale attraverso motti, proverbi e detti popolari che gli venivano riferiti dai braccianti che si spaccavano la schiena nella vasta campagna dell’agro di San Severo. D’estate, i ragazzi del quartiere si radunavano sugli scalini del palazzo abbandonato per ascoltare da CIRO storie inventate di fantasmi che si aggiravano dopo la mezzanotte nelle case per rivedere i luoghi dove avevano vissuto. La luce fioca dei lampioni e il buio che avvolgeva il vecchio palazzo, affascinava gli ascoltatori i quali poi tornavano nelle loro case impauriti ma eccitati dai fantastici racconti di CIRO.

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