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San Severo:AL TEMPO DELLA “SPAGNOLA” CADAVERI, RIFIUTI E POLEMICHE

di GIUSEPPE CLEMENTE

Il 1918 fu un annushorribilisin modo particolare per l’Europa, le cui popolazioni, già stremate dai lutti e dalle distruzioni del primo conflitto mondiale, ancora in corso, dovettero affrontare anche la rovina di una pandemia influenzale, la spagnola, che causò moltissime altre vittime in tutti i Paesi. Il virus si manifestò per la prima volta agli inizi del 1918 in un campo di addestramento militare negli Stati Uniti e fu portato in Europa nella primavera dello stesso anno dalle truppe americane che prendevano parte alla Grande Guerra. Venne erroneamente chiamata “spagnola”, perché la prima a parlarne in modo crudo e drammatico nel febbraio del 1918 fu la stampa spagnola. E’ difficile, per non dire impossibile, fare la conta delle vittime, ma l’Italia fu uno dei paesi più colpiti dall’epidemia. Si ipotizzano 700 mila morti, qualcuno afferma anche un milione, superiore comunque ai caduti della stessa guerra. Il governo, ritenendo deleterio per le sorti del conflitto, che era in una fase cruciale, il diffondersi del panico tra la popolazione, impose alla fine di agosto una severa censura. Proibì i funerali e il rintocco funebre delle campane e vietò anche gli annunci mortuari. Ma non poté nascondere il gran numero dei morti che ogni giorno si ammonticchiavano nelle città, nei paesi e nei villaggi. A San Severo la spagnola incominciò a diffondersi nella primavera del 1918, ma rivelò tutto il suo potere letale, tra settembre e dicembre dello stesso anno. Era sindaco della città l’avv. ERNESTO MANDES e pro sindaco l’avv. LEONE MUCCI, uomini di grande spessore umano e culturale, che ebbero la ventura di amministrare la città nel periodo bellico e nell’emergenza della spagnola. E lo fecero con dignità, spirito di sacrificio e abnegazione. MANDES, contro tutti i bavagli imposti dalla censura, il 19 settembre cominciò a prendere i primi provvedimenti per cercare di limitare i danni. Con un manifesto si rivolse ai cittadini, chiedendo la collaborazione di tutti per mantenere pulita la città. Era necessario tenere gli animali da cortile lontano dalle abitazioni in apposite gabbie e non lasciarli “vagare per le vie”. Qualche giorno dopo la Giunta adottò alcuni urgenti “provvedimenti igienici” per evitare danni gravissimi alla salute pubblica. Furono acquistati calce, formalina, acido fenico e altri disinfettanti; si potenziò il servizio della “pubblica nettezza”, aumentando il numero dei carri per raccogliere e trasportare “le acque luride e le materie fecali”; venne intensificato il servizio di vigilanza sui negozi di generi alimentari e sulla pulizia pubblica e fu deciso infine di normalizzare il servizio di distribuzione dell’acqua potabile con la riparazione dei carri botte da tempo fuori uso. Per evitare i forti rischi di contagio, i responsabili sanitari decisero di adibire a lazzaretto l’ex convento dei Minori Osservanti di San Bernardino, perché lontano dal centro abitato. In città la gente era avvilita, si sentiva impotente di fronte al male “misterioso” che mieteva vittime tra gli amici, i conoscenti e i vicini di casa ed era terrorizzata al pensiero che potesse colpire anche la propria famiglia e toccare gli affetti più cari. Era spaventata e confusa, viveva come in un incubo. C’era un nemico accanito, inesorabile, che non faceva sconti a nessuno, da cui difendersi, a cui sfuggire. Regnava il terrore, si viveva in un clima surreale, simile a quello della peste di manzoniana memoria. Si evitava di uscire di casa, anche quando vi era stato un decesso e i locali venivano imbiancati e disinfettati, e si tenevano lontano gli altri, parenti compresi. Il sindaco non faceva mancare parole di speranza alla sua gente. “Igiene ed elevatezza d’animo”, scrisse in un manifesto, “Il male sta per essere debellato. Coraggio, non vi avvilite. L’Amministrazione del popolo sta facendo modestamente il suo dovere […] Passerà pure questa raffica di morte. Coraggio. Salvete!”. A San Severo il 1° ottobre i decessi furono 14 e “l’appaltatore” dei trasporti funebri non riusciva nello stesso giorno a portare al cimitero tutti i cadaveri che, per evitare il diffondersi dell’epidemia,dovevano essere “immediatamente” seppelliti. Nei giorni 9 e 10 settembre MANDES fu costretto ad allontanarsi da San Severo e il Sottoprefetto, forse per la scarsa considerazione che il sindaco aveva avuto della censura imposta dal governo, lo riprese duramente, perché, “in un periodo così importante per la salute pubblica”, aveva abbandonato il Comune. Ma MANDES si era recato ad Ancona per procurarsi la lamiera occorrente alla riparazione dei carri adibiti alla raccolta delle “acque luride” e per sollecitarel’invio a San Severo di un numero adeguato di serbatoi che potessero assicurare una regolare e sufficiente erogazione dell’acqua. La gente però continuava a morire e fu allestita una squadra di trenta operai per la repentina rimozione dei cadaveri, trasportati con autocarri militari, e per la loro immediata sepoltura. Erano trenta “becchini” che, quando la spagnola falcidiava decine di vittime al giorno e i cadaveri erano ammassati l’uno sull’altro come rami secchi, svolsero un compito indispensabile, difficile e rischioso per il pericolo di contagio. Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre il numero dei morti iniziava lentamente a calare e a dicembre il morbo, che aveva funestato per tre mesi la città, allentò decisamente la morsa. Restava da pulire le strade cittadine ridotte in quei mesi a vere discariche a cielo aperto. C’era di tutto, dai rifiuti organici, alla biancheria delle persone morte, alle suppellettili che si riteneva contagiate, ai liquami, e, nonostante la pronta riparazione dei carri-botte adibiti alla raccolta delle “acque luride” e l’acquisto di uno nuovo, nelle vie del paese permaneva“l’agglomeramento di letame e immondizie”, evidente fonte di contagio soprattutto per i bambini, che venne rimosso solo dopo alcune settimane.Non conosciamo il numero delle vittime, qualche fonte ipotizza circa 1500 morti, tanti comunque per la nostra città, che aveva già perso molti giovani, caduti nella Grande Guerra.

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