SOTTANI E SOTTANE – Ricordi Sanseveresi
di ENZO VERRENGIA
Qui i bassi, i piani terra, si chiamano SOTTANI e fanno pensare all’indumento ormai obsoleto che indossavano aggirandovisi le bellocce proletarie che una volta vi abitavano. Oggi non sono più né bellocce né proletarie e girano per casa con le tute da ginnastica che hanno preso l’abitudine di usare quando stavano in galera come i mariti. I sottani hanno cambiato inquilini. Le famiglie popolari che vi stavano installate precedentemente hanno traslocato in villette monofamiliari di periferia, con prato inglese e statue ornamentali di marmo di Carrara. Oppure hanno abbattuto l’intero immobile del centro storico dove sorgeva il sottano e al suo posto vi hanno fatto edificare un minicondominio a due piani, completo di tavernetta e mansardina per le figlie adolescenti, che il sabato sera possono ospitare per dormire le amichette.
Il sottano si distingueva per la famosa bambola formato naturale distesa sul divano, in bella vista al di là della vetrina. Essendo un bilocale, nell’altra stanza si assommavano una cucina americana, un tavolo da refettorio scolastico e, lustra e troneggiante nell’angolo, una Fiat Panda. Prima di quest’ultima, si erano succedute le 500, le 600 e le 850. Dopo la Panda, gli abitanti del sottano hanno traslocato, come sopra. Non ho fatto in tempo a vedere, e soprattutto odorare, il carretto e il ciuccio, sono nato nella motorizzazione, mi sono perso il passato remoto, i miei ricordi arrivano solamente all’imperfetto.
Alcuni sottani il piano di sopra lo avevano, e anche la terrazza e l’abbaino. Però gli inquilini preferivano restarsene di sotto. Radicamento. Alcuni abitanti dei sottani salirono non solo di un piano, bensì di latitudine, emigrando al nord. Lì vivevano in condomini dove si finiva perfino al dodicesimo piano.
Il mezzo di trasporto più tipico del capofamiglia di un sottano non era né l’automobile né il carretto, bensì una moto ‘smarmittata’. Il progresso rimpicciolisce le tecnologie. Oltre ai microchip, i motorini, più compatti e silenziosi. Concepiti per i giovani o per decongestionare le metropoli. Gli abitanti dei sottani li utilizzarono per il loro pendolarismo rurale. Il motorino presso di loro fu denominato SQUICCIO. Vale a dire schizzo. Con lo squiccio, la prospettiva della campagna che sfilava ai lati acquisiva impeto. Viene in mente VICTOR HUGO, che dopo il primo viaggio intreno scrisse: “Il paesaggio si è messo in movimento”.