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TREVOR ED IL SUO PIENO DI AMORE…”ERA UN GIORNO DI TARDA PRIMAVERA”.

“Non hanno la parola, ma possiedono la voce dell’anima”, ti piace Giovanna questa frase che mi è venuta pensando a TREVOR?
“Certamente Eli, lui riusciva a penetrare nel profondo del mio animo”.
“Vorrei raccontare la sua vita, trasformandola in una fiaba, arricchendola con alcuni particolari, ma attenendomi al vero, affinché venga ricordato insieme a tanti come lui che hanno accompagnato i propri padroncini. Va bene JO? Ti chiamerò così”.
“Eli non mi far commuovere”.
“Mi commuovo anche io scrivendola, ma un sentimento d’amore coinvolge solo se è vero. Inizio…”.
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ERA UN GIORNO DI TARDA PRIMAVERA e la piccola VALE usciva dalla scuola.
“Aspetta un momento MANUELA! Lo vedi laggiù in fondo! Forza corriamo”.
VALE si precipitò per prenderlo, sollevandolo da terra. Stava sopraggiungendo un’auto, ma lei l’aveva accolto già tra le sue braccia. Era salvo.
“È pieno di zecche VALE! Presta attenzione”, le sussurrò l’amica.
La dolce ragazzina non se ne era nemmeno accorta tanto era rimasta colpita da quel tenero batuffolo di circa due mesi, con il pelo un po’ spelacchiato.
“Tieni, ho dei fazzoletti”, le disse premurosa l’amica MANUELA.
VALE lo avvolse.
Il cucciolo era disorientato e gli occhietti scintillavano curiosando e sbucando dal bianco della carta morbida avvolgente.
“Mamma mamma! Guarda ho trovato un batuffolo che si muove! È tenerissimo! Lo teniamo con noi?”, esclamò la giovinetta appena rientrata dalla scuola.
“Sai che papà è contrario a crescere animali in casa perché hanno bisogno dei loro spazi”, esclamò mamma JO.
“Mamy, ma abbiamo anche il giardino e lui è un amore troppo grande”, sussurrò VALE abbassando il visino ed affondando il suo sguardo sul piccolo quattrozampe.
JO osservava commossa la figlioletta ed abbozzò un sorriso di gioia, comprendendo di essere riuscita a trasmettere il rispetto per gli animali…lo stesso sorriso che la illuminò guardando il volto di MARK, il figlio più grande appena era rientrato anch’egli dalla scuola.
“Che bello! Lo chiameremo TREVOR”, esclamò il ragazzo accarezzandolo con amore.
“Forza ragazzi, tra poco rientra papà. Andate sul balcone e cercate di sistemarlo e di accudirlo momentaneamente senza farvi scoprire”, intimò mamma JO.
VALE e MARK lo ripulirono e addirittura gli prepararono un recinto ed un posto confortevole dove lo adagiarono, rifocillandolo.
La giornata era tiepida ed il cucciolo si lasciava coccolare da quelle delicate manine attente a donargli ogni premura, quasi si trattasse di un bimbo da cullare.
“Tutti a tavola!”, fu l’invito di JO.
Papà TONY era sopraggiunto.
“Come mai questo silenzio?”, esclamò pensieroso.
I bimbetti abbassarono la testa timidamente ed iniziarono a pranzare.
Alla TV di colpo una famosa pubblicità…
“È uguale al nostro cane!”, gridò raggiante MARK.
“Che cosa? Il nostro cane? Quale cane? Cosa stai dicendo?”, rispose semi infuriato il papà.
Il piccolo MARK guardò la mamma in segno di aiuto e lei disse:
“È un cucciolo che porterò dalla nonna. Lo ha trovato VALE e l’ha salvato perché era in strada e sopraggiungevano le auto. Non poteva mica lasciarlo lì!”, rispose a tono al marito serioso.
Scese il silenzio.
I bimbi non vedevano l’ora di ritornare sul balcone e baci e coccole si irradiarono nell’aria, accarezzati dai raggi di sole primaverili.
Il giorno dopo papà TONY lo portò dal veterinario e lo fece vaccinare, controllando che ogni cosa fosse a posto.
Intanto a casa, ad attenderlo con ansia, loro, soprattutto i bimbetti che non volevano sentir pronunciare le dolorose parole sul suo trasferimento.
La porta si aprì ed il papà se li ritrovó tutti, uno di fianco all’altro, compresa la moglie, di fronte a lui.
Papà TONY lo teneva in braccio…
“Il veterinario ha scritto sul foglio della vaccinazione il nome TREVOR. Lui porta il mio cognome!”, sussurrò alzando il mento con fierezza, mentre i suoi cari si guardarono in volto increduli.
TREVOR divenne la gioia della casa, della famiglia e del quartiere.
L’avrebbe tenuto con sé davvero la nonna? Ma no…
Il batuffolo si ritrovava persino sul letto, ai piedi del papà che lo riscaldava con la sua sicurezza paterna ed affettuosa.
Giunse il primo Natale.
Sotto l’albero erano posizionati numerosi regali, tutti incartati con cura.
La sera della Vigilia TREVOR era rimasto per alcuni minuti in casa ed al ritorno…
“Mamy mamy! Come ha fatto TREVOR? È riuscito a capire quale fosse il suo regalo!”, esclamò con grande sorpresa la piccola VALE.
Ed in effetti il cucciolo aveva compreso quale fosse il suo dal rumore. Si trattava di un giochino a sonagli.
Da lì gli furono insegnate molte cose.
Era un cane meticcio e dal pelo fulvo che apprendeva velocemente.
TREVOR aveva un portamento assai elegante e signorile, tanto che sapeva starsene comodamente seduto sulla sedia, affiancando i commensali, ma solo per affettuosa compagnia e non permettendosi mai di curiosare tra i piatti o sulla tovaglia.
“Signora fa scendere TREVOR”, chiedevano i ragazzini del quartiere suonando al campanello di mamma JO.
TREVOR era un ottimo lanciatore di palle…un levriero che agilmente prestava il suo appoggio nel gioco di squadra.
Era un giocherellone, ma anche leggermente ansioso.
TREVOR amava solo i sussulti di gioia, mentre urla o schiamazzi molesti lo spaventavano.
“Dove sarai finito questa volta”, capitava che si chiedesse JO.
E succedeva che magari si nascondesse nel ripostiglio o dietro una tenda o sotto un mobiletto.
TREVOR amava la vita e la quiete ed era circondato da un amore infinito.
Si avvicendarono così molti anni che trascorse in salute, tranne una volta affrontando un’otite.
“Mamma, TREVOR non si regge più molto bene in piedi”, disse un giorno VALE tornando dall’Università.
I due bimbi erano diventati ormai grandi e dei bellissimi e validi ragazzi, sempre amorevoli ad ogni rientro dal luogo di studi.
“Ha avuto una piccola paralisi”, rispose malinconicamente JO alla figlia, mentre una lacrima furtiva le scendeva lungo il lato destro del viso.
VALE prese la mano della madre in segno di coraggio, quasi i ruoli di fossero invertiti ed infatti JO profondeva le sue cure ed attenzioni verso TREVOR che era il figlio rimastole accanto in casa.
“Papà, TREVOR è diventato un po’ anziano perché ha quindici anni. Cosa possiamo fare per aiutarlo?”, chiese un giorno MARK ed il papà che in quel lontanissimo giorno alla sua esclamazione: “È come il nostro cane”, aveva lo sguardo furibondo, abbassò invece il volto nascondendo un profondo dolore.
“Non possiamo remare contro la corsa del tempo figlio mio. Possiamo solo restargli vicino”.
TREVOR faceva sempre più fatica a reggersi in piedi ed anche i sensi della vista e dell’udito si erano molto affievoliti.
JO lo accudiva ed assisteva con immensa devozione, ricambiando tutto l’amore che lui aveva donato in quegli anni.
E, durante un pomeriggio di TARDA PRIMAVERA volle sedersi sul balcone cullandolo tra le braccia.
TREVOR aprì i suoi occhi scuri e la guardò un’ultima volta.
Entrambi avevano gli occhi come specchi annegati da umanità condivisa.
L’istante dell’eternità rintoccò il suo ultimo battito, mentre una palla giù riecheggiò come se a riceverla, un’ultima volta, fosse proprio TREVOR.
I bimbi del quartiere, quelli delle nuove generazioni succedutesi, spensierati ed ignari nella propria innocenza, continuavano il loro gioco.
JO pose delicatamente la sua mano sugli occhi di TREVOR con l’anima straziata dal dolore.
Gli diede un bacio sulla fronte e lo coccolò dondolandolo lievemente.
TREVOR era ranicchiato come fosse ritornato un cucciolo.
Era un giorno di TARDA PRIMAVERA ed il tempo continuava nella sua corsa, ma L’AMORE si fermava e restava per sempre dove aveva vissuto, tra gli uomini, come sempre, del resto, accade quando una dolce anima, vive ed illumina con la sua incomparabile presenza.

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