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VOLEVO FARE UNA “FIGATA”, E’ SCOPPIATO UN PAMDEMONIO – La chat e gli equivoci

di Lucia Libera Cocca

Da quando chattare ha preso il posto di parlare guardandosi negli occhi, sono fioriti nella mia vita aggettivi come permaloso, equivoco, sotteso. Premesso che i cinquantenni di oggi ( quale io sono), a detta di mio figlio (diciassettenne), usano whatsApp, facebook

 

ed altro, come “un nuovo eccitante giocattolo”, mi sono resa conto di essere travolta da una valanga di sollecitazioni e di non avere più né il tempo di elaborarli né di distanziarmi . Ogni bip dice qualcosa di serio, meno serio, importante, stupido, significativo, esagerato, affettuoso, superficiale, indicibile…… ed altro ancora. Ogni foto meritevole di attenzione, porta con sé un momento importante o meno, rubato senza alcun permesso ad una coppia, un bambino o all’amico di turno che….. “saranno pure fatti suoi se si è fatto crescere i baffi o ha deciso di riprendere a fumare, dato che il lavoro scarseggia, la fidanzata è in vacanza con le amiche e la taglia cinquanta del bermuda dello scorso anno mostra segni di cedimento”. Stralci di vita gettati ai più. Diciamoci  pure che questo è parte di una tracotanza, correggo, disattenzione diffusa che nasce dal bisogno spasmodico di dire voracemente, senza pensare al ricevente. L’Altro è oggetto del poter dire e faccio fatica a coniugarlo con “ ci sei nel mio profilo perché conti per me”. Se contasse davvero eviterei che possa sentirsi imbarazzato davanti ad un “ cedimento” fisico o morale. Se ho la cellulite, e ne ho tanta, gradirei esporla nel mio mondo reale, dove ad un eventuale sfottò potrei avere possibilità di replica, e non ad un mondo virtuale dove “ chi a’ vo’ cott’ e chi a’ vo’ crud’” stabilisce dosi quantità e percentuali di una eventuale liposuzione. Dunque…. volevo fare una figata….. e, in possesso di una scarsa capacità visiva, fisiologico sistema di invecchiamento, pensando di cambiare la mia icona del whatApp ho invece cancellato la mia adesione al gruppo “chattogeno”. Caso volle che il fatto avvenisse in immediata sequenza ad una immagine postata da un amico. Qui parte l’equivoco che ha generato un domino di effetti e che, volendo processare l’intenzione, potrebbe portare a facili nonché superficiali conclusioni. Il postante amico, esprimeva nella chat un palese schieramento a favore di uno dei due candidati sindaci in ballottaggio. Fervido sostenitore del candidato X incita il gruppo ad una scelta che in lui è ovvia, palese e sperata! Aver cancellato l’adesione in una contemporanea casuale risposta ha determinato virtualmente: a) un non schieramento per il candidato X; b) una possibile offesa al gruppo “chattogeno”; c) un possibile carattere permaloso.

Con l’amico ho chiarito, ma questo porge il fianco ad una considerazione sul senso dei bip, ad ognuno dei quali, con la mia lentezza cognitiva, scelgo di dare una meritata risposta per trasformarla in una relazione di senso e non più in superflua apparizione.

Se scriviamo vogliamo comunicare, arrivare,”tendere” delle parole per “afferrare” una risposta, un afflato. E’ complesso gestire con senso questi supporti che in apparenza favoriscono più amicizie, ma in effetti creano conflitti, equivoci, dissolvenze. Se posto su whatsApp un particolare del dipinto “ Fuga in Egitto “ del Caravaggio, può essere perché, “ me la tiro” o perché condivido una delle scene più tenere fra madre e figlio. L’interlocutore coglierà, se non sono una superflua apparizione; e se il chattare a volte sottende una richiesta, non ci si dimentichi di alzare il cinto pelvico e bussare alla porta dell’amico. Questi mi sembrano caracollanti tentativi di un linguaggio che non sentiamo veramente nostro, che ci conviene per leggerezza che ci affranca con una faccina sorridente ma che non riesce a toccarci come una sentita stretta di mano o un sorriso puntato dritto negli occhi.

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