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I CANDIDATI DELL’ANTICA ROMA

AUGUSTO, candidato-consigliere alle prossime elezioni comunali di San Severo, incontrando un suo vecchio professore, domiciliato in un dignitoso sottano di via Roma nei pressi del Palmento, ebbe a confessargli di volersi candidare per il bene della città. “Che mi consiglia di fare?” – chiese il temerario aspirante consigliere comunale. Il vecchio professore aggrottò la fronte, lo guardò a lungo dalla testa ai piedi, accese la sua abituale pipa e gli disse: “Anche tu lo fai per…il bene della città? Senti, AUGUSTO, ho saputo di questa tua…chiacchierata candidatura e, se insisti, ti posso consigliare – prima di tutto – di conoscere bene da dove deriva il termine CANDIDATO. Devi sapere che nell’antica Roma, un anno prima delle elezioni, chi intendeva presentare la propria candidatura andava per il foro con una toga bianca. Doveva indossare una veste candida, come simbolo di purezza e di integrità morale, onde il nome di CANDIDATO per attirare l’attenzione degli elettori. Distribuiva strette di mano, sovente accompagnato da clientes, amici e segretari. Nelle conversazioni pubbliche e private che formavano l’essenziale della sua propaganda, il candidato soleva esporre il suo programma e dare le consuete assicurazioni agli elettori. Nel 368 a. c. furono proibite certe forme eccessive di propaganda e soprattutto fu proibita la costituzione di clientes che si associavano in comitati. Durante la campagna elettorale, poi, i candidati, fatta la DECLARATIO ufficiale della candidatura, usavano disporsi sulla piattaforma su cui era posto il seggio di un magistrato per tenere il comizio URBI ET ORBI. Una legge, detta “Cornelia Baebia”, stabilì la pena di morte per il reato di corruzione elettorale. E allora – disse il vecchio professore – cosa pensi delle candidature degli antichi Romani?” AUGUSTO rispose: “Penso che molte cose di allora si fanno anche oggi ma la severità degli antichi Romani la trovo eccessiva. Addirittura la pena di morte per i reati di corruzione elettorale, beh…è una esagerazione”. “Certo, ma devi ammettere… – concluse il vecchio professore – che la corruzione elettorale è un reato particolarmente odioso, che va combattuto senza se e senza ma, un reato che altera e falsa il processo democratico. La legge dice che…chiunque, per ottenere il voto elettorale, offre, promette o somministra denaro, valori, o qualsiasi altra utilità, o promette, concede o fa conseguire impieghi pubblici o privati ad uno o più elettori è punito con la reclusione da uno a quattro anni anche quando l’utilità promessa o conseguita sia stata dissimulata sotto il titolo di indennità pecuniaria data all’elettore per spese o servizi elettorali. Mi dispiace per te, caro candidato AUGUSTO (nomen omen!) ma io nel tuo destino non vedo nulla di augusteo…”.

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