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La preparazione della salsa di pomodoro in terra d’Africa e altre considerazioni, anche “tristi” di don Nazareno Galullo, da Cotiakou, Missione della Diocesi di San Severo.

La Diocesi di San Severo, dal 1996 ha aperto una Missione in Benin ed oggi, a Cotiakou, si alternano i sacerdoti e i volontari. La popolazione locale, nel rispetto della sua cultura, è stata avviata a conoscere tante cose, tra cui la salsa. Un condimento bene apprezzato anche a quelle latitudini. Lo spiega, in sintesi, don Nazareno Galullo, già a Cotiakou da qualche anno: “Qui, il pomodoro è coltivato un da tutti. Non le grandi distese a cui noi pugliesi siamo abituati. Ognuno, nel pezzettino di terra intorno la propria casa, semina quel che la natura concede. Adesso è il momento dei pomidoro, che non sono mai raccolti quando sono rossi. Per paura della facile deperibilità vengono raccolti quando sono giallognoli. Non è facile trovare pomodori rossi. Si fatica. Sono quelli che costano meno. Fatico a trovarne una bacinella piena. Solitamente vengono venduti a numero: 5 pomodori, messi a mo’ di piramide e ben presentati. Ognuna di esse ha il suo costo: 100 franchi. Chiedo di averne una bacinella di rossi. Mi chiedono tutti: ‘Perché?’ Spiegare non è facile, perché qui nessuno ha l’idea della conserva, della salsa. Qui si pensa all’oggi. Non c’è l’abitudine di conservare il pomodoro. Al massimo si stocca il mais, cibo fondamentale, gli ‘igname’ (tuberi simili a grandi e pelose patatone), il ‘vengiù’ (simili ai ceci). Il pomodoro no”. Il sacerdote entra nel merito: “Per quanto voglia abituarmi a mangiare all’africana, non riesco a pensare ai pomodori ed a non farne dell’ottima salsa. Una donna al mercato ha una bacinella dove i pomodori non sono tanto maturi ma dico a Christiane, la cuciniera della Missione, che quelli vanno bene. Lei, in lingua locale, dopo i saluti di rito ‘uno per uno’ a tutte le donne lì intorno, inizia a trattare sul prezzo. Sempre col sorriso. Sembra di assistere ad un rito. Ed in effetti un po’ lo è, perché se tratti vuol dire che sei interessato e che la merce è buona”. Don Nazareno, così continua: “Ritorniamo nella Missione e si comincia a fare la salsa, come mia madre (che l’anno scorso è stata qui tre mesi) le ha insegnato. Accende il fuoco, lava i pomodori, li fa bollire, mentre Alphonse e Pierre dispongono la macchinetta per la salsa che, prudentemente, l’anno scorso ho comprato in Italia a 13 euro. Prepariamo le bottiglie e i boccacci, raccogliamo il basilico che, dopo due anni d’insistenza è finalmente sbocciato in quantità enormi nel retro del giardino, in quello della missione. Christiane, come gli altri, non conosceva questa possibilità di conservare il pomodoro con metodo semplice: negli anni, le multinazionali hanno imposto i loro prodotti. Quando i pomodori scarseggeranno nella stagione secca, quei pochi fortunati che ne hanno di tardivi, chiedono troppo e tutti comprano barattolini di concentrato. Non riescono a farne più a meno. Stessa cosa è avvenuta per i ‘dadi’ di brodo: come si fa a non averli? E fa niente che sono ricchi di glutammato e che sono altamente sconsigliati: per insaporire le pietanze hanno imparato ad usarli e, credo di non averne mai visto un uso così massiccio. Le dipendenze da questi prodotti non proprio ‘sani’ sono state introdotte da aziende senza scrupoli che, laddove in Occidente la cultura bio li ha quasi banditi, trova qui spazio per continuare la speculazione. A danno dei poveri l’occidente si arricchisce”.

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