QUELL’UOMO DEL23 MARZO 1950
di MICHELE MONACO
Marzo1950-marzo 2015. Un vecchio, ricurvo sotto il peso dei suoi anni, imboccò via dei Quaranta, passò davanti all’ex caserma della Polizia di Stato e si soffermò a osservare il cortile situato a pianoterra. Lo osservò a lungo perché in quel cortile, 65 anni prima, era stato trattenuto in stato di arresto- insieme a numerose altre persone- per essere poi trasferito nel penitenziario di
Lucera. Scuoteva la testa pensando a quei giorni, si chiedeva spesso se si poteva evitare che si scatenasse l’inferno in città. Quella ferita politica era ancora aperta. Un avvenimento che aveva marcato a fuoco la sua persona e quella di circa duecento concittadini tutti incarcerati con una accusa tanto grave e infamante, quanto ingiusta e totalmente falsa:“insurrezione armata contro i poteri dello Stato”. Roba da ergastolo. L’uomo dovette scontare due anni di carcere per poi essere assolto, insieme a tutti gli altri, con formula piena, dalla Corte d’Assise. Gli sembrava incredibile: due anni di detenzione nel pieno di uno Stato Democratico e Repubblicano. Uno sciopero generale degenerato in una rivolta a causa di provocazioni e atteggiamenti di una polizia forgiata da un Ministro degli Interni come MARIO SCELBAche, con il corpo della “Celere”, svolgeva un ruolo primario nella repressione delle lotte bracciantili e operaie. La repressione scelbiana, dal 1947 al 1954, registrò 109 lavoratori uccisi nel corso di scontri con la polizia, un numero di vittime difficilmente giustificabile non solo dal punto di vista umano e politico, ma anche da quello tecnico-professionale. L’uomoripensava a quel maledetto 23 marzo del 1950, alle accuse incredibili del Pubblico Ministero, ma ripensava anche al loro straordinario difensore che fu LELIO BASSO (nella foto), un avvocato e Senatore della Repubblica, figura storica del Socialismo Italiano. Ricordava perfettamente la memorabile arringa di BASSO conclusasi con le seguenti parole:” Questa sentenza voi pronuncerete in nome del popolo, e il popolo, in nome del quale parlate, il popolo di cui dovete essere gli interpreti, non è soltanto il popolo grasso che vuol conservare i suoi privilegi, ma è il vasto popolo che comprende tutti i cittadini, soprattutto la grande massa dell’umile gente che lavora, che soffre e che lotta per diventare non più oggetto ma soggetto di storia, e per fare finalmente del nostro paese, secondo il principio affermato dalla Carta fondamentale,una Repubblica democratica fondata sul Lavoro. Sia la vostra sentenza degna di questo Popolo”.